venerdì 27 maggio 2016

PERDONAMI


Se per caso tu vedi
questa paura che ho di te
perdonami:

è perché tu sei grande,
anche se oggi
le tue dimensioni
e le dimensioni del tuo potere
sono piccole.

E quando devi difendere una cosa grande
grande e grossa
la paura è tanta
di sbagliare.

Io guardo intorno a me
vedo cose che funzionano
vedo grandi che proteggono,
vedo piccoli protetti
e li vedo che funzionano
come macchine
come organismi.

Diverse io e te,
per te è più dura
perché tu sei grande
e io troppo piccola.

Perdonami.

So che un giorno lo farai
perché tu sei grande.

lunedì 23 maggio 2016

NON DIRE GATTO


Sono spesso sgridato per cose bizzarre.
"No!" Non lì! Non qua!" mi dicono, o "Ti faccio vedere io!"
Ma io ho zampe forti e me ne infischio, penso a quello che potrei fare con queste mie zampe.

Spesso mi attaccano ombre e lunghi filamenti che corrono per il pavimento. Io sono sempre pronto.
La casa è bella, liscia, si scivola che è una meraviglia, piena zeppa di buchi da esplorare per stanare qualche impronta di bestia che mi vuol scappare.
La grande creatura mi nutre, e di questo sono pago, mi accarezza quando riesce ad acciuffarmi, mi striglia, mi strapazza, mi insegue, mi parla anche.
E ammira queste mie zampe.

Questa umana è forse una gran razza, che ha creato cose, oggetti ineffabili e tetti, e fino al fondo della città vedo cose da lui costruite.
Ha creato il mondo!
Lui può entrare e uscire dai confini di questi muri, può aprire quella porta che a me non è concesso varcare, egli può, se vuole, costruire altre porte, altrove. Lui ha fatto tutto, e tutto è suo.
Sue le strade e le gallerie, suoi i ponti che lo rendono grande, sua la divina simmetria di questo pavimento e la lucentezza delle superfici, la scatola da cui fa scaturire la fiamma con un solo gesto delle dita, lui che è anche mago, quando ammansisce la sua fame in sconcertanti profumi.
Il mondo, è certo, è suo.

Vivo così, accanto a lui, pressoché sicuro che mi nutrirà, accarezzerà, e tutto il resto. Non dico di fidarmi ciecamente, ma ci scommetterei tutti i miei baffi. Perciò non mi faccio troppi scrupoli, vivo alla giornata, vivo felice, e gioco come un pazzo.

Ma niente, niente mi provoca la tenerezza che mi provoca quest'uomo, quando si ferma, e tace. E mi guarda guardare la luna.
Allora qualcosa corre dai suoi occhi al mio profilo bianco di pianeti, e mi accorgo del suo assillo, la sua smisurata invidia.
So che cosa lui vede riflettersi, e di cosa si stupisce, e lo sento tremare, lui che vorrebbe essere me, e rubarmi l'anima quando io, preda di lei, mi giro verso il cielo e la luna mi filtra dagli occhi. Quando io li socchiudo, e vedo e sento tutto.

venerdì 20 maggio 2016

E POI?


E poi ci sarà la vecchiaia,
con le sue macchie sulla pelle
le sue malattie
con la sua inadeguatezza
il rossetto sui denti
le scarpe fuori moda.
Cosa indosserò?


lunedì 16 maggio 2016

SUL BORDO DEL LETTO


Molte volte, quando mi sveglio dai miei sogni la mattina, è come una lampadina che si fulmina.
Un attimo prima era tutto lì a portata di mano, le storie, le loro architetture pazzesche, personaggi misti, ibridi. Personaggi, dottore, non persone, personaggi come fossero di celluloide, morti che vivono di nuovo e parlano con me, mi parlano di chissacché.
In un secondo tutto si fulmina, con il caratteristico sibilo elettrico di cose che si cimiscono. Scompare al buio del mio risveglio.

Lo vede dottore, lo vede anche lei che non ne resta niente.
Se per una notte ci siamo arrampicati attraverso cunicoli e sentieri introvabili, se ci siamo persi e ripersi ancora, se si muovevano i pavimenti, parlavano i muri, vorticavano le stagioni... Beh al mattino c'è un letto immobile ed un soffitto incredulo.
Allora brancoliamo alla ricerca di qualche frammento di quelle primavere e di quegli inverni, che ci portano la neve a luglio. Ci danniamo all'inseguimento di quelle parti di vita dove voliamo, e precipitiamo, e corriamo coi piedi di cemento, urliamo col terrore che non ci esca la voce, e la voce non esce, resta chiusa in qualche imbuto dell'anima.

Potessimo ricordare qualcosa di più, com'è che si fa a respirare sott'acqua, o come facilmente moriamo per una cosa andata storta, come saltiamo da un ponte... se ricordassimo le nostre traversate in mezzo al mare, le tempeste, le avventure.
Se avessimo memoria, dottore, di quante notti passiamo in compagnia dei nostri amori.

E ora, all'improvviso, le cose che non so e non posso ricordare, sembrano essere diventate ciò che più conta dottore, tiranne delle mie fibre mortali.
La lampadina fulminata sparge uno spruzzo di fuliggine, e quello va a posarsi su ogni cosa. Bisogna seguirne al buio le tracce, bisogna trovare.
Trovare cosa dottore? Che cos'è che nascondo?
Io e lei, qui a caccia.

Beh, sarà ingenuo da parte mia, ma a volte credo di poterlo stanare, quel desiderio demente di non sapere, che tiene lontano, questo desiderio omicida, questo boia della mia vita perduta, riportata così tante volte indietro e dimenticata di nuovo. E spesso mi inganna, su false piste, con piccole fitte di dolore.
Quanto male può mai portare avere dimenticato, avere mentito? La lampadina che zac, si fulmina la mattina, la sera, il giorno, per tutta la vita. Sul bordo del letto, sui fili di lana dei nostri funambolismi.

No, non protegge dottore, questo inganno espone. Al rischio di uccidere se stessi per salvare un altro che volevamo essere ma che non riusciamo mai a essere (o è qualcuno che dovevamo essere?)
Ma per che cos'è che lo facciamo? È per questo camminare lungo corridoi illuminati dal neon con la meta sicura di una scrivania tutta nostra, dove ci chiamano "dottoressa"?
È per questa bella casa in ordine?
È per questo che noi fatichiamo e sudiamo tutta la nostra forza, sacrificando quelle visioni a picco su città paradossali, dove viaggiamo come argonauti, padroni di tramonti e albe che sappiamo far durare anche una notte intera?

Per che cos'è che lo facciamo? Per cosa uccidiamo l'altro in noi?
Per far contenti i nostri? Per quello smisurato e devastante amore per loro?
È perché eravamo bambini troppo sensibili?
È per questo apparato appiccicoso che indossiamo col nome di vita, che uccidiamo quell'altra di vita, al mattino?
È per questo mondo che noi temiamo tanto quell'altro?

E non abbiamo fatto un piacere a nessuno, non ha gioito né l'una né l'altra vita in noi, due malati di cuore, votati alla malinconia.
Non avremmo dovuto dimenticare mai, non avremmo dovuto lasciare depositare nulla sul fondo.
Perché non abbiamo lasciato vivere quella vita che il boia ha falciato?

Noi guardiamo i nostri amici ridursi come ombre, e ci dimentichiamo di quando li abbiamo incontrati.
Noi sopportiamo come schiavi le nostre scelte, i nostri dubbi, le nostre perdite, e scordiamo le parole che li potrebbero raccontare, scordiamo di guarire dal male, come se il male non ci fosse stato.
Liquidiamo la violenza dei nostri sogni, le curve pericolose che affrontiamo in essi su slittini e aeroplani, le invasioni di insetti, le guerre, i pianeti, le ere, i morti e i personaggi, li dimentichiamo con una leggerezza spaventosa.

Ma se è vero che dimenticare uccide, dottore, all'uccisore resta un cadavere da seppellire, e dopo, solo croci ed un prato umido.
In me invece ogni mattina langue un ferito.
L'odore di bruciato, il sibilo che inseguo, il lieve schianto del filo che si rompe, che mi lascia lì a metà, stupida.
Ecco perché invidio ferocemente chi dice che non sogna, quelli a cui la lampadina si fulmina prima ancora che la sveglia rompa il buio.
Un meccanismo perfetto.
Il mio è difettoso dottore, mi lascia intravedere.





sabato 14 maggio 2016


QUI

LA CAVALLERIZZA E' UN LUOGO, O MOLTI.
DI SICURO SE CI VAI TI PERDI.
MA SE NON CI VAI, TI PERDI, PERCHE' QUESTA MOSTRA E' UNA BOMBA.






E COMUNQUE AL TERZO PIANO IN UNA STANZA C'E' LEI.



IO SONO FATTA DI ACQUA

Eccoci qui Valentina Addabbo, mia amante terribile, con cui ci trattiamo male, ci disapproviamo, ci diamo le gomitate e ci guardiamo capendoci.

Parlo con te nei bar di noi perditempo e guardo le tue mani colorate, le unghie contornate dai resti del tuo lavoro.
E ti vedo mischiata con le tue creature, meduse, storpi, mostri, innocenti come la colpa, scusate l'ossimoro facile, ma ci credo in questa cosa,  questi esseri che si cercano, che se ne vanno ma non se ne vanno mai.

Io amo di te questi tuoi figli, e la tua ostinazione a vincere, costi quel che costi.
Grazie Valentina Addabbo, che sei la mia metà, l'altra al mondo che mi è testimone del mondo che vorrei.

Sappi che nell'acqua di cui sei fatta abitano il bene e il male.
Perché tu sei terribile, e sei lieve.
Proprio come le tue creature.

venerdì 13 maggio 2016

MOLTO VOLUTO


E quando hai innalzato cattedrali
scavato tane e architettato nidi
quando hai abitato gabbie per studiarne l'uscita

dopo che hai versato oro nei fiumi
perché scorrendo ricordassero
il tintinnare delle stelle
che avevi scoperto
amando

e se hai scritto nel cielo
arrampicandoti su scale di carta
volatili lettere d'affanno
in cui ti s'è sfogliato il cuore

se la tua vendetta è morta nella tenerezza
e hai irrigato con essa il campo nuovo
sul quale hai tessuto, sudando,
mappe di consolazione

se hai cantato
come canta un uccellino
e come canta il violino
se hai cantato come canta la notte
mentre tutti dormono

allora quando hai viaggiato
in ogni città del formicaio in cui ti dibatti
percorrendo i suoi cunicoli in vista di promesse

allora
se hai molto voluto,

ma ancora danzano i tuoi dolori
sull'asintoto delle speranze,

allora
la nuova frontiera del tuo amare
oggi è desistere.



lunedì 9 maggio 2016

NATO CATTIVO


Se sei nato cattivo da genitori buoni, con amici buoni, e vicini di casa buoni, è un casino. E' un lavoro difficile quello che devi fare per venirne a capo.
Da bambino tutti ti credono buono, e ti fanno regali ai compleanni, ma non hai fatto nulla per meritarli.

Poi diventi un adolescente strano, ti metti addosso quello che ti piace, e non piace a loro. Allora questi che fanno? Pensano che sei troppo buono, e non ci hanno preso proprio.
Devi fare di più.

Continui a crescere cattivo, ma loro dicono strano.
Ti metti a fumare e bere, ti metti a drogarti, perché infine lo vedano chi sei! Ma niente, si ostinano a crederti buono, cercano di rispettarti, attendono il rientro del figliuol prodigo.
E tu sei costretto a non esagerare con la cattiveria, per non ferire le loro illusioni. Ti fingi un po' più buono di quello che sei, ma non serve a nessuno.

A volte riescono persino a farti venire il dubbio di essere buono, per certi periodi ci provi, ma non ti viene affatto bene, ti scappano parolacce rabbiose, c'è pronto un vaffanculo per ogni occasione.
Provi a spiegarglielo, usi un linguaggio che possano accettare, per sdoganare la tua autentica verace cattiveria, provi a dire "libertà", tenti con "indipendenza di spirito". Ma niente da fare, ti vogliono a tutti i costi convincere che tu sei come loro.

Allora prosegui, dal tuo nascondiglio, e ti metti ad architettare cose.
Tradire le persone? Non hai ancora picchiato nessuno? Che fai, ti metti a mentire, trafficare, insultare la gente per strada? Non fa per te, tu non sei un cagasotto. Quella è roba per impostori, tu sei un cattivo come si deve, un cattivo serio, su cui si può scommettere.
"Che cosa devo fare?" ti chiedi, "bastonare un barbone?" Ma lui non ti ha fatto niente. Un cattivo si comporta bene, ha rispetto per gli altri cattivi. E' un codice d'onore, lui non va certo a intromettersi nella vita degli altri. E' gentile, lascia correre, non disturba se lo lasci in pace a fare il cattivo.

Allora ti accorgi che non sei più quello di prima, non sei il ragazzo che sputava per terra. Sei un cattivo adulto, con la sua etica di cattivo.

Eppure continuano a farti regali ai compleanni, genitori, parenti, amici. Ti vedono buono, buono.
E' una cosa che non trova pace, talmente non rientra nel loro orizzonte l'eventualità che tu possa essere cattivo che, anche di fronte all'evidenza, loro ti fanno buono.
E' davvero imbarazzante.

Perciò ti metti a ringraziare per i regali, e dai monete ai mendicanti, e finisce che ti fanno altri regali il giorno della pensione, con una festicciola in ufficio, e tu sei felice perché nessuno sa che tu sei cattivo, e ti pensano buono, e questa è stata la peggior cattiveria che potessi fare.

venerdì 6 maggio 2016

LA GAZZELLA


Ogni mattina
io mi alzo
e so che dovrò correre
più veloce della mia angoscia
e di tutta la sua banda
più veloce dell'insoddisfazione

fargli il contropiede
e toh, allungargli il passo di fianco
dirgli guarda vi ho comprese
vi ricevo al mio tavolo
non mi fate paura
non troppa
gradite un caffè?

Il mio compito so qual è
è un po' duro ma
è una di quelle cose
che qualcuno le deve pur fare.

Ogni mattina
io devo alzarmi
e ripetere al mondo intero
che non era sbagliato il sogno che facevo
da bambina.

Perciò come Cirano
me ne vengo giù dalla luna
e dalle stelle che mi pare
me ne vengo e cambio giro se mi va
parlo forte se lo credo
dico persino
la verità
sempre se mi va.

E infine prendo un camper
o un passaggio
può bastare un saccapelo
vado a riprendermi la mia amica
laggiù
ché anche lei sta nei suoi guai
lì a rigirarsi e domandarsi
quanto poco si sia avverato
quanto ancora non si avvererà,
vado a prenderla
e partiamo
come si era detto
da bambine.

Anche lei sa
che nei guai non ci si va
per un saccapelo,
ci si va solo a dare troppa retta
a chi il saccapelo non ce l'ha.


lunedì 2 maggio 2016

NON TUTTE LE MAMME BEVONO

(OVVERO LE ZELANTI)


Le mamme che non bevono, prendono molti caffè.
Le trovi al bar la mattina, a gruppetti, a tavolate, a capannelli. Zelanti.
E si preoccupano, zelanti. E' colpa del caffè.

Io le ho già viste queste qua, non ricordo dove, in un'altra vita. Sì, le ho già viste.
Era l'università. Erano quelle fuori della porta degli esami, quelle che non sapevano niente. Sudavano, impallidivano nelle loro camicette, e non sapevano niente, niente. Niente!
E invece sapevano tutto.
E io che arrivavo sicura di avere l'esame in pugno, io finiva sempre che mi chiedevano l'unica cosa che non sapevo. Una sfiga mortale.
Si sono tutte laureate con 110. E lode. Io ho preso 109, è la verità, 109. Sia lodato quel punto.

Eccole qua, si sono tutte ritrovate, madri, hanno partorito, e questo dà loro il diritto di esercitare la protervia che prima non osavano mostrare, quando dicevano "non so niente". Decisamente per loro il tempo non passa, sono le stesse. Stanno ripetendo la lezione, non vogliono essere disturbate o, peggio, turbate.
Hanno in animo un terrore profondo: temono di essere scoperte. Che il loro orribile segreto venga fuori, che all'improvviso glielo si legga in faccia, e sia sotto gli occhi di tutti.
Temono che si veda che sono delle imbecilli, e che per forza di cose tireranno su figli imbecilli, essendo loro stesse delle imbecilli. E allora si affannano a nasconderlo, mettendoci sopra tanto rumore. Domande, preoccupazioni, risatine verdi, "noi invece", "la mia Marta, "il mio Giulio..." tutta una vetrina di piccole buffe imprese che dovrebbero illustrare quanta luce splenda nella vita dei loro figli.

E alzano la posta, e ancora, il pianoforte, gli scacchi, il saggio, l'agonismo, i libri, uh come ama leggere! E rilanciano.
Stanno scommettendo l'infanzia dei loro figli.

Queste mamme non bevono, eccetto caffè, però se le bevono tutte: il cibo sano, il corso di tablet, la maestra severa. L'inglese per tutti. Il museo a quattro mesi.
E il pediatra, gli articoli su internet, i vaccini velenosi, la logopedista, lo sci in pista, il dentista, l'esame della vista...
E non si divertono affatto, e non hanno più amiche, hanno colleghe di genitorialità. Non parlano più di maschi, ma di padri, non hanno passioni, magari un impiego.

Si preoccupano, zelanti. Vivono nella paura, e fanno figli paurosi, che lo sappiamo tutti che crolleranno, e crollando faranno del male. Paura che mangino porcherie, che si facciano male, che prendano un brutto voto. Perciò gli insegnano a essere prestanti, obbedienti, aderenti.
E gli fanno imparare ogni sorta di sport, di hobby, di scienza, perché non vengano esclusi, perché primeggino, perché il mondo è nemico e ti schiaccerà.
perché se non gli facessero fare tutte queste cose, sarebbero costrette a passare del tempo con figli annoiati, pieni di immaginazione, che fanno domande.
Ma loro non saprebbero rispondere, perché sanno la lezione, ma non conoscono la materia.

Ditemi, mamme, zelanti mamme con la mano alzata, siete brave madri? I bravi non son niente, contano i buoni.
I vostri figli sono tanto bravi a scuola, sono intelligenti? Non credo che a loro importi davvero: importava a voi, loro vi hanno accontentati. Loro vogliono compiacervi, loro vogliono giocare, e vogliono voi.

Eccole lì, preoccupatissime. Sudano, tremano, sono pallide di paura. Si confrontano, si interrogano a vicenda, come all'esame. Molto, molto preoccupate.

E mai che si preoccupino che i loro figli siano degli esseri umani, dalla vista sottile, dall'animo nobile, magari persino complicati, che di complessità ci sarebbe un gran bisogno, mai che si preoccupino che vengano su un po' diversi da ciò che hanno intorno, che non è un bel vedere.

Fateli diversi, Innomediddio! Guardatevi intorno quante facce di merda, e giurate a voi stesse che li farete diversi!

Lo so, è una battaglia persa.
Voi siete così, madri, padri, siete brutti, e fate figli brutti, per un mondo brutto.



domenica 1 maggio 2016

Apro questa nuova striscia dal nome "I PASSANTI".

La inauguro con il tema che gli dà il titolo:
l'essere di passaggio.

Sperando che di qui passino altri e molti e buoni.



CARTOLINE


















Andrea è di passaggio.
L'ho conosciuto in un bar (nei bar io ci vivo), mentre stava dipingendo.
Passo di lì e mi dice : "Non è che vai a farmi due fotocopie?"
Va beh, manco ti conosco. Fatto sta che ci vado.

Mi piacciono i suoi lavori, non è che debba spiegare perché, non credo neppure che vada fatto. Ma li trovo divertenti, vitali, eccitanti.
Le sue maxi cartoline mi fanno credere di stare lì anch'io, tra la gente che passeggia, che passa.

Finiscono tutti con l'appoggiare i piedi su pezzi di mondo, cartine geografiche, mappe disorganizzate, scivolano via dai fogli e vanno ad abitare altri luoghi.

Andrea è un passante, mi ha detto "Tra un po' torno a Londra" e poi ha finito il suo lavoro.
Anch'io ero una passante quando l'ho conosciuto, io coi miei bar, e quasi ogni giorno mi fermo per un caffè o una birra e poso gli occhi sul suo lavoro, guardo nella sua cartolina la gente passare.