mercoledì 31 agosto 2016

PUNTATA 13


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DODICI



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Il mio è stato il classico caso da prime pagine, Durato ben poco, per la verità, visto che non ho mai negato nulla, né ho tenuto per me qualche particolare.
Ma a farla da padrona sui giornali è stato il processo e soprattutto, più tardi, la sentenza.
Il vero scandalo è stato quel giudice donna.
Soltanto poco tempo prima le era toccato un caso del tutto simile, solo che in quel frangente l’assassino era il marito. Gli aveva dato venticinque anni senza sconti.

Io invece me la sono cavata con meno della metà.
Un’indecenza per tutti.
Considerando che il mio era un uomo in regola con tutto, l’opinione pubblica era accecata dalla rabbia, “Quella puttana sarà già fuori a cinquant’anni”.

Non si può parlare di attenuanti, nel mio caso. Come ho detto, lui non picchiava, non beveva, non giocava dazzardo, non credo neppure che tradisse. Credo anzi sia stato tra i migliori degli uomini.
Si può piuttosto parlare di aggravanti nel caso precedente: cioè uccidere una madre e uccidere un padre sono delitti di diverso peso.

Non so se sia stato questo, in particolare, a infondere clemenza nella mente del giudice, questa funzione genitoriale preferenziale della madre.
Oppure se sia stata una questione più radicale. Insomma, se si sia trattato di una faccenda culturale, dall'odore dolcemente politico.
Sì, perché uccidere una donna è un atto di conservazione, mentre uccidere un uomo... beh, è rivoluzionario.

Va bene tutto, ma ribellarsi bisogna ribellarsi.


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mercoledì 24 agosto 2016

PUNTATA 12


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UNDICI





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Lentamente tornavo ai miei anni dell’università, con tutta quella selvaggia frenesia di vivere. Ma questa fase fu passeggera, finì col gettarmi in un territorio sommerso, e mi è tornato in mente qualcosa di me, di me adolescente.
La ragazzina che ero quando ero piccola, e andavo a scuola, i libri nello zaino, scarpe basse, niente tinta sui capelli. Quando ancora io non c’ero, né io né la mia colpa, e dovevo imparare tutto.
Allora la vita era un fiore, un vero fiore. Quando tutto cominciava a suscitare ribellione, e non c’era nulla a cui ribellarsi, perché tutto intorno era libertà. E perché la certezza che i sogni si avverano era ancora solida.
Perché è così che è cresciuta quella ragazzina del liceo, come se quella libertà predicata fosse limpida, come se quella parità tra creature buone ci fosse davvero, come se ad attenderla ci fossero gli amori pieni e rotondi dei sogni, come se nessuno potesse mettersi tra lei e tutto il suo potere.

E invece poi ho incontrato gli uomini, che erano diventati grandi in chissà quale modo.
Io la mia guerra l’ho fatta per salvare quella ragazza.
Ho preso ad andare indietro, negli anni, sempre più indietro, invecchiando mi trovavo a ripensare alla mia casa di bambina, ai miei genitori, ai miei giocattoli. E in questa spirale all’indietro mi son persa, lui non mi ha seguita. Non mi seguiva da tempo, fin dal matrimonio credo. Fin da quel giorno, e forse anche da prima.

Non sarebbe stato né il tradimento né una separazione con una riconquistata libertà, a potermi ripagare di ciò che avevo perso. Non che fosse lui il colpevole del passare del tempo... Ma di quell’attraversare il tempo all’indietro in solitudine.
Perché attraversarlo, da un lato oppure dall’altro, bisogna attraversarlo.

Di certo non è per uno di quei sogni romantici che l’ho fatto. È arrivato per rabbia, il raptus. È stato sulla vetta, dopo una strada in salita, l’ascensione che ci ha consumati, la via di roccia che abbiamo seguito indefessamente, come se non ci fosse un arrivo, picconata su picconata. E poi, arrivati in cima, non c’era niente, niente, non orizzonte né vegetazione, non una croce, o una bava di vento, nulla, neppure la nebbia, soltanto il niente. Allora la rabbia si è fatta grande come tutto l’orizzonte.
Con lui ho ucciso tutto, la mia fatica, la mia delusione, il dolore di tutti gli amori del mondo l’ho annegato con lui.


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mercoledì 17 agosto 2016


PUNTATA 11


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DIECI



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Era meglio una semplice separazione?
Oh no, questo è vietato. Distruggere una famiglia? Guai. Più facile uccidere un uomo.
Noi piacciamo così, amare. Siamo lì, piangenti, è così che lo vogliono, il nostro dolore, unico, statico, inginocchiato sotto la croce. Il mondo va pazzo per quel dolore di madre, di certo non ha grande interesse per le donne libere, o persino felici.

Ma una cosa così, com’è successa a me, non è che la pianifichi, è il classico raptus.
Non è che io pensi di avere fatto un capolavoro. È solo che è capitato, e quando ti vengono a intervistare, a chiedere, delle risposte ti tocca cercarle, e a cercare bene le trovi, in fondo.

Si ha un bel dire che stare insieme per i figli sia un’ipocrisia, io la chiamo "un duro lavoro". Un’ipocrisia è andare a raccontare in giro che tutto va alla grande. Le mie amiche sanno bene quante volte ho detto “lo ammazzo”.
Alla fine l’ho fatto.

A volte, in segreto, ho sperato in un colpo secco, lontano da noi, per carità, sul lavoro, una telefonata... “Signora, abbiamo fatto il possibile.” Vedi, a forza di non amarsi, dove si arriva.

Ma che fai, ti metti a tradire? Certo, l’amore era bello, e certe mattine, dopo un sogno romantico, ti prende una tale malinconia di quell’amore che non ti capiterà più. Certe mattine, se per riavere l’amore ti toccasse uccidere, o tradire, saresti pronta a farlo.
Una volta ci ho provato a tradirlo. Ma come si fa? Ricominci a fare l’amore in macchina, a quarant’anni? A raccontare palle in casa? Come un’adolescente? A far combaciare orari, coperture, alibi? Ti metti a fare le acrobazie, con due figli che ti guardano negli occhi e ti chiedono tanta verità almeno quanta te ne danno loro?

E poi, la spinta che senti... No, non è la stessa. Sono amori insidiati dalla debolezza di un corpo stanco, sfinito, un centro dei sentimenti già abusato. C’è un’amarezza, un rimpianto, dentro quei palpiti per il tuo amante, che poi alla fine, a un soffio dal suo corpo, non ce la fai. Ci vuole troppo, troppo amore, per tradire.
Era tardi anche per questo, era sfiorito persino il peccato, e così, se l’avessi fatto, se l’avessi tradito, l’unica differenza sarebbe stata che adesso saremmo stati in tre, a non amarci.

E lui, la sua vaga gelosia di bestia, a sproposito, manifestata attraverso brontolii e sguardi torvi di animale confuso, misero lui. In un uomo la gelosia è una rabbia volgare, è una logica di possesso, nulla più.
Niente a che fare con la sottile competizione che è in gioco nella gelosia di una donna, nella quale lei, ancora una volta, trova modo di misurarsi, osservarsi da dentro, niente a che fare col bisogno di assoluto che c’è in lei, che tratta l’amore come un potere divino.

Si tratta di cose. Cose, cose, è quello che sei signorina, ficcatelo in testa.
Lui ti ama? Lui ti adora? Ti stima e ti rispetta? Non ho alcun dubbio. Ma ci sarai poi tu a parlarti nello specchio, e del ricordo del suo rispetto, di quando ti ascoltava raccontare, non saprai che fartene.
Perché anche il rispetto se n’è andato, nella guerra dei veleni quotidiani.
Arriva un punto in cui disseppellire l’amore non si può più fare.


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mercoledì 10 agosto 2016


PUNTATA 10


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NOVE




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Molti, tutti forse, credono che sia una battaglia vecchia, superata, e persino sciocca, credono si tratti della fissazione isterica di una categoria di frustrate alla riscossa. Tollerano che a una donna passi per la testa ogni tanto d’incazzarsi, di piazzare lì una scenata, una rivendicazione. Mettono tra parentesi l’accaduto, lo mettono tra i costi, purché tutto resti uguale.

Fanno lo stesso nelle aziende, un capo umilia i dipendenti, mortifica il loro lavoro, lo fa quasi senza accorgersene, pur sapendo perfettamente che questo abbasserà la produzione. Lo sanno benissimo che così la gente lavora poco e male, peggio che può, ma è un costo che viene messo in conto, purché non si ribellino. Perché dalla ribellione può discendere quell’assurda fantasia della partecipazione, la condivisione degli utili, la parità.
La ribellione è sempre dietro l’angolo, sempre attuale, loro lo sanno.

Non è che un maschio lo faccia perché lo ha pianificato, lo fa perché gli è stato insegnato. Qualche piazzata, momenti di isteria e incomprensibile rancore, si tratta poi di sopportare delle gran chiacchiere, ma poi tutto passa e tutto, nella testolina imperscrutabile di quella femmina, viene perdonato.
In cambio, figa tutti i giorni, prole, attenzioni alimentari.

Stereotipi? Di quelli con cui si fanno le barzellette della settimana enigmistica?
Come se si trattasse di simpatici vizietti di una società attraversata da qualche innocuo tradizionalismo.
Il peggio che si può fare è sorridere.

Avevo amiche che mi facevano gran complimenti per il marito che avevo. Perché sapeva stirare, cucinare, pulire. Avevo amiche, devo dirlo, che se la passavano davvero male.
Non ho visto i loro mariti una sola volta alle feste dei bambini. Non che il mio ci andasse volentieri. Ci sono cose che gli uomini pensano spettino a loro solo in caso di assenza della moglie, e non c’è nessuna, nessuna ragione al mondo che mi renda possibile capire questa loro convinzione.

Ma peggio di tutto, ci sono cose che un uomo non sa restituire, non sa far prosperare. Ci sono uomini-imbuto, più gliene dai e più sparisce roba in un buco.
Eppure le loro mogli sorridono, allargano le braccia, sono pazienti.
Si può dire che l’ho fatto anche per loro.


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mercoledì 3 agosto 2016


PUNTATA 9


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OTTO



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Non c’è niente come la speranza, la speranza di vincere una corsa, di fare tombola, di essere baciati dalla fortuna con il grande amore, un figlio Nobel, una parte in un film a Hollywood, o la speranza di farla franca, la speranza che un giudice, per qualche motivo, dia ragione a te.
Io ho sperato, davvero, fino alla fine, fino all’ultima molecola d’ossigeno che mi è parsa navigare verso la superficie.
Tutto si può dire, non che io non abbia sperato.
Finché all’improvviso, come da un momento all’altro, mi si è mostrata l’inutilità di quella fede gettata nel pozzo. Era finita, la speranza.

È stato lo stesso con la menopausa, un anno fa. È arrivata così, preceduta dai sospetti, ma un sospetto non basta a placare la speranza, lei si ciba di irragionevole.
Così, se pure è vero che nessuno, nelle mie circostanze, vorrebbe più un figlio, resta addosso il vento dell’amore, il piumino di polline che passa sopra il tuo fiore, è solo la stagione della speranza. Poi, all’improvviso, quel vento disordinato ti passa sopra la testa senza lasciare più odore.
Le mestruazioni arrivano, e se ne vanno, come un vento impollinatore, tutto lì.
Passi una stagione di fertilità, e credi che durerà tutta la vita, e invece era vento, e dopo, silenzio ovunque.
Come si fa a non invidiare un uomo?

Così, anche tra noi, me e lui, all’improvviso mi sono ritrovata nel silenzio, si era consumata la speranza.

Non c’è niente che ti faccia tirare avanti come la speranza.
L’idea che la vita in fondo debba ancora cominciare, che tutto quel che si è fatto fino a qui sia solo una specie di preparazione, che tutto debba ancora arrivare, una specie di giorno del risarcimento.

Quando un giorno non ho più avuto dubbi sul buio nulla in cui lui aveva chiuso la mia speranza, e quella speranza è caduta, beh, mi è caduta addosso, come una morte nera senz’occhi.
A quel punto, se anche le rocce si fossero alzate in volo, io non le avrei viste.
Ma sperare, ho sperato.


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