lunedì 23 gennaio 2017

GLI SPALAMERDA


Avanti, e smettila di fingere che non spali merda. Eddai, e piantala.
Dai che tra un’ora e 13 sei fuori di qui, bolli il cartellino e voli via, verso il mondo.
Il mondo, coi suoi clacson e i negozi, che altro non ha da offrirti che altri lavoratori.

Ma che fanno tutti questi lavoratori? Sui pullman, sulle tangenziali, negli uffici, nelle farmacie, sui tetti. Che cosa costruiscono che già non c’era prima?
Il mondo è tutta manutenzione.
Manutenzione delle strade, degli edifici, della salute. Manutenzione della cultura.

Ma sì, tu qui la cultura non fai che copiarla e ricopiarla, milioni di volte... alla lunga perde qualcosa.
Dai coraggio, 56 minuti, un po’ di Omero, le sirene di Ulisse, l’addio ad Andromaca, che finirà schiava. Anche lei?

Avanti con Montale, Dante, sì, e anche D’Annunzio... anche D’Annunzio? Sì, anche D’Annunzio. Ho un po’ di nausea.
Ci vorrebbe l’inchiostro simpatico.
Bambini, ragazzi, non credete ai vostri libri. Via, scappate coi pirati, è per mare che si impara.
Chiedetelo a Ulisse.

C’è un motivo per cui sulle antologie Ulisse non compare mai a letto con Calipso, o la stupenda Circe? Il taglio è sempre un verso prima di quello che recita:

        allora solo di Circe salii il letto bellissimo.

Con Calipso ci andò a letto per otto anni, è una di quelle unioni fuori del matrimonio, ma nei libri nulla, il taglio è subito prima.
Sfido chiunque a trovare un libro di scuola in cui siano riportati questi versi.
Sono versi bellissimi:

        Così diceva: e il sole s’immerse e venne giù l’ombra:
        entrando allora sotto la grotta profonda
        l’amore godettero, stesi vicino uno all’altra.

Ma di Penelope si sa tutto, è un nome che diamo alle bambine. Certo, evviva Penelope. Fedele, devota, invecchiata in solitudine.
Si sa della tela che disfa di notte e tesse di giorno. Mentre Ulisse la piange, così come deve, lui la sospira ogni giorno. Soprattutto dopo l’amore con le dee.
Noi non ci chiamiamo Circe o Calipso, quelli sono nomi per i titoli di testa dei film porno.
Tagliare i versi d’amore, manutenere la fedeltà di Ulisse, e nessuna pietà per le dee immortali che abitano isole remote.

Non credete alla scuola bambini, l’abbiamo fatta noi, che della scuola non sappiamo altro che la conservazione.
Non fate manutenzione, come noi vi vorremmo insegnare, non siate schiavi, uscite, calatevi fuori della finestra in un paniere, in odio a noi. Lasciate noi a spalare la merda, insegnate a noi come guarire da questo malanno, questo lavorìo di manutenzione.

Li sento già: "Bisogna insegnare ai bambini! Perché non siano bestie e diventino uomini!”
Sì, sì.
Ma chi era poi Ulisse? La sete di conoscenza, la lealtà verso i compagni, i viaggi senza comodità... che gira tutto il Mediterraneo per fargliela vedere a quel Polifemo, il ciclope senza il secondo occhio, quello che dà la prospettiva. Il mostro, la bestia incolta che parla con le capre e mangia uomini come fossero caramelle.

Chi è questo Ulisse che apprende la vita girando il mondo con pochi amici, solcando il mare, e poi torna in patria per fondare un uomo nuovo, l’uomo della conoscenza, l’uomo che supera l’animale.

Chi era questo Ulisse, davvero uno di noi?
O piuttosto un’invenzione, un desiderio. Il fantasma dell’uomo che avremmo voluto essere...
Manutenzione di questa idea. Il nostro mondo è un monumento a questa idea, ma è tutto pieno di merda da spalare.


lunedì 16 gennaio 2017

L’ASSASSINO


Chi mi ha ucciso?
Sono stati gli ogm, lo smog, lo stress?
Mi ha ucciso un qualche veleno, un gas, una polvere?
O saranno stati i farmaci?
Mi ha ucciso l’alcool, il fumo, la droga?
O è stato lo sport?
Un incidente o il fato?
Un’oliva di traverso? È stato il destino?
Mi ha ucciso la mia ipocondria?
Mi uccisero i buoni o i cattivi?
Sarà stato il dottore?
È stato Dio o l’assenza di Dio?
Sono stato io?


lunedì 9 gennaio 2017

SE AVESSI TRENT’ANNI


Ah se avessi trent’anni!
Se avessi trent’anni mi sembrerebbero comunque tanti.
Dopo i sedici, mi sono sempre sembrati una montagna d’anni. Quindi anche se li avessi davvero, trent’anni, credo che farei bilanci storti.
Penso che se avessi trent’anni vedrei i miei quaranta non così lontani, li sentirei mordermi i lombi, e non per questo mi darei da fare, ma perderei tempo a pensarci su.

Temo che farei tutto uguale, anche perché, se avessi trent’anni, sarei quella che ero undici anni fa, e quindi sì, ovvio, farei tutto uguale.

Ma se mai fossero stati diversi, per un qualche battito d’ala di farfalla, se la mia famiglia fosse stata una di quelle che restano intatte, con dei nonni al mare coi nipoti, i soldi da mettere da parte per la nuova macchina, i figli a cui prospettare un domani, se avessi trovato il modo di avverare i sogni, se avessi pubblicato almeno un libro, beh, penso che vederlo lì appoggiato su un comodino, con la sua copertina, il suo codice isbn, credo che davvero non ci sarebbe stato nulla di diverso.
Credo che quel libro osserverebbe dal suo posto le stesse identiche scene, guarderebbe la mano che muore negli anni nella mano di chi la tiene, credo che le sere stanche, le mattine forsennate, le domeniche lente, tutto sarebbe lo stesso.

Perché alla fine la mia vita sono io, la mia compagna sono io, io sono mia madre e mia figlia, e quest’anima stessa che riconosco, a quarantuno, come un animale riconosce la tana.

Perciò se avessi trent’anni, con il viso e la pelle di prima, e la quantità di scorte ovariche di una trentenne, io credo che saprei come so adesso chi sono.