venerdì 20 ottobre 2017

INFORMATI!

OPPURE STUDIA.





Salve, amico no-vax, ti presento il pensiero critico.

Un po’ presuntuoso da parte mia, me ne rendo conto. Ma io ho Giordano Bruno con me, tu chi hai, Sai Baba?

Dai, prendila sul ridere, ci vediamo in giro, ci vogliamo bene, abbiamo i figli a scuola insieme, e poi io sono d’accordo con te, questa legge è odiosa, fatta da un governo odioso in modo odioso.

Solo che spesso mi dici che devo informarmi, perché “Informati” is the new “SVEGLIA!!!”
Ma io non credo che mi informerò, anzi starò alla larga dalle informazioni, ne ho abbastanza di tutte queste informazioni.
Informati tu, ché io non intendo farlo. Io preferisco la retroguardia, dove si perde tempo a distinguere e selezionare.
Tu mangia pure, che io digerisco.

Ed ecco il tuo sguardo pietoso sulle mie ingenuità: “Le cose sono un po’ più complicate di così” mi stai dicendo (is the new “Capra!”), ma non è il complicato a spaventarmi, è il facilitato.
Non è una questione di fiducia nelle istituzioni, è una questione di fiducia nel tempo e nella storia, unici filtri davvero affidabili nell’universo della crisi perpetua.

Oh, la scienza moderna è una cosa meravigliosa, di cui sono così innamorata che non la tocco, posso solo lambirne i contorni. Amo però quei contorni, perché mi definiscono, mi sostengono in ogni mio gesto, mi hanno permesso di essere ciò che oggi sono.

Perché vedi, proprio a dispetto della dabbenaggine che mi attribuisci (anche se non usi questo termine, non ti verrebbe in mente, ammettilo), la scienza a cui io mi riferisco si basa proprio sul rifiuto del principio di autorità, cui tu mi accusi di essere prona, in favore dell’esperienza, della vagliabilità delle ipotesi, per fondare un sapere oggettivamente verificabile, che rigetta la certezza e persegue l’analisi dei fenomeni e delle loro cause.

Si basa sulla crisis.
Benvenuta crisis! (Dal verbo greco krino, separare, distinguere, giudicare). Ostinata maestra che mi insegni a distinguere tra doxa ed episteme, opinione e conoscenza.
Perché sono così pedante? Perché questi termini greci?
Perché il sapere è storico.
(E perché un manuale di filosofia andrebbe tenuto sempre accanto al pc).

Ma io sono un residuato bellico, è vero, un po’ accademica e artritica, e tu mi dici di smetterla con la filosofia, perché “non ci stanno dicendo tutto” (is the new “È quello che vogliono farci credere”), e io che cosa vuoi che ti risponda? Che nessuno mi ha mai detto tutto, e malgrado questo posseggo un grimaldello invincibile: quando mi dicono qualcosa, fosse anche poca cosa, io so come leggerla.
Mi basta meno di tutto.
Ecco perché non è necessario che io percorra il web in lungo e in largo come un Diogene impazzito, tentando disperatamente di “informarmi”, perché ho studiato filosofia.

Perciò questo pensiero critico, questa conoscenza, questa che oggi chiamiamo ancora scienza moderna è ciò che ha permesso la mia sopravvivenza e la mia protezione, garantendomi sviluppo e straordinario adattamento.

Ma è anche ciò che non ha salvato mia madre, pur dispiegando la sua forza e la sua sofisticata tecnologia.
La scienza fallisce, ed io forse ancora di più per questo la amo.
Mi metto a sua disposizione come sono a disposizione del mio tempo.

Quindi a noi due: i vaccini fanno più male che bene? Oh, boh, non credo neppure che la risposta mi riguardi di più di quanto mi riguardino le staminali. E cioè sì, ma da una rispettosa lontananza.
Però le risposte che per adesso la conoscenza, l’episteme, può dare, dicono di no, che no, non fanno più male che bene. Che la faccenda dell’autismo fa sorridere già da qualche anno. Che le argomentazioni portate sono di cartapesta...
Ma il punto per me è che quando venisse verificato il contrario, la scienza non esiterà a pronunciare questa nuova conoscenza.
Perché è scienza, e non parla finché non sa.

Ecco perché per oggi aspetto che sia la scienza a dirmi che i vaccini fanno più male che bene, non una tesi, non un’ideologia, non i singoli individui, qualunque titolo abbiano.
Non farò nulla più che un smorfia di fronte alle vostre “prove”, e no, non andrò a informarmi.
Mi affido ad essa e al suo fallimento, sì, proprio così, mi affido anche a quel giorno in cui si smentirà, senza disonore, ma per umile procedimento.
Perché la scienza è un tipo di sapere storico, non ideale, non produce idee, produce conoscenze, produce storia.

Ci ho scritto un libro sul fatto che noi siamo la nostra storia, sul fatto che abdicare ad essa ci perderà.
Quindi ci tengo un po’.

Esistono degli snodi definitivi nella storia, inventati da noi, per carità, ma che ci aiutano ad appigliarci a qualcosa nell’indifferenziato scorrere del tempo... l’invenzione della ruota, la rivoluzione copernicana, quella francese, l’illuminismo, gli antibiotici, l’invenzione della stampa, sono quella roba lì. Noi siamo quella roba lì.
Siamo Marx, siamo Gesù, siamo l’agricoltura, l’industria, la guerra, siamo Galileo, l’università, l’elettricità, internet, la psicanalisi, Platone, Einstein, il cinema.
Noi siamo la medicina, siamo i vaccini.

No, non fuggo il dubbio, al contrario, lo perseguo, ed è per questo che mi rimetto alla storia, al nostro peregrinare lungo il suo svolgersi, ed è per questo che cerco di onorare il pensiero critico attraverso l’ossequio della scienza moderna e del suo dubitare, mancando e centrando il bersaglio, insieme alla sua più antica sorella techne.

La scienza appartiene agli uomini.
Ce la siamo sudata la scienza, ce la dovremmo tenere stretta.

Concludo, amico no-vax, chiedendoti di smetterla, ti prego, di darmi dell’idiota ignorante, di dirmi che me le bevo tutte in quanto avrei paura di sollevare dubbi, perché io ho una tale consuetudine col dubbio che non vado precipitando inesorabilmente giù per ogni abisso che scava come se fosse l’unica strada rimasta. Mi muovo tra la molteplicità dei suoi crepacci e li osservo, li giudico, ci guardo dentro e imparo, per tentare casomai di descrivere una mappa di questo sacro vagabondaggio.







mercoledì 18 ottobre 2017

IL MIO PERSONALE

“METOO”




Sembra non essere chiaro a nessuno se questa sigla significhi è successo anche a me, oppure solidarizzo con chi, oppure non è che mi sia proprio successo ma stava per, oppure basta anche meno.

Chissenefrega, è lo stesso. C’è un rancore sommerso, un ricordo o tanti, di culi palpeggiati sull’autobus, o di sguardi, parole, che hanno invaso uno spazio sul sottinteso della forza.
Che è forza fisica, ma è anche forza morale, o immorale.

E adesso preparati, perché non scriverò un post in cui tu ti sentirai tra i buoni, ma tra i cattivi, io non cerco consenso.

Io penso che sei una merda, maschio, per ogni sguardo alle mie tette o al mio culo, sì, anche per lo sguardo, mio bel fringuello che con un’alzata di spalle pensi “ora non si può più neanche guardare”.
Indovinato.

Perché non sai quanto ci farebbe sentire libere, anzi liberate, quanto ci farebbe diventare persone alla pari con voi non dover passare quel filtro, quello del desiderio.

Quel desiderio lo devi tenere a bada, come tieni a bada quello di tirare un pugno al vicino quando ti girano le palle, è solo civiltà. Non devi neppure guardare, finché non sarò io a mostrarmi. Non ci devi neppure pensare. La tua autocensura deve essere molto ma molto più severa di quanto tu immagini.

Perché fa schifo dover essere carine per attirare la tua attenzione su ciò che noi siamo, almeno quanto fa schifo essere palpeggiate sull’autobus e domandarsi “Come faccio adesso, come glielo dico senza sembrare un'isterica?”

Io ricordo, tra le altre cose, un “Perché, non ti piace?” Era evidentemente uno stronzo.
Ma è stronzo altrettanto tuo figlio che se ne va in giro, bambino, cantando “Sei un cesso a pedali”. È la stessa identica cosa, la stessa. È lo stesso procedimento mentale, è sempre la desiderabilità di una donna, suo unico segno dell’essere al mondo.

E poi, quando invece di un figlio hai una figlia, che succede? Temi per lei vero? E perché? “Perché so come sono fatti gli uomini”. Appunto, allora piantala, sciagurato.

Puoi imparare tu, puoi insegnarlo a tuo figlio. Ma devi cambiare. Mi aspetto molto ma molto di più da te.

Sissignore, è successo anche a te, e ti succederà oggi. Forse dentro le mura di casa.






lunedì 9 ottobre 2017

POSTFAZIONE IMMAGINARIA

DI UN LIBRO IMMAGINARIO




Ci tengo a sottolineare che questo è un libro autoprodotto.
Perché? Ma è molto semplice: perché non ha ancora trovato un editore, un’investitura ufficiale che lo trasformi da libro immaginario a libro vero, da burattino di legno a bambino in carne e ossa.
A dire il vero ho lavorato pochino sulla ricerca di un editore, ne ho tentati una decina, è un po’ poco dicono, ma è un lavoro troppo duro quello di stare al concerto di Springsteen sperando per tutto il tempo di essere tirato sul palco a cantare con lui.
Perciò mi sono fatta la mia band, in attesa di suonare in pubblico su qualche piccolo palco di periferia.

Dunque che cosa ho scritto?
Diceva Nabokov che quando sentiva pronunciare la domanda su quale fosse l’intento dell’autore gli veniva in mente “un prestigiatore che spieghi un trucco con un altro trucco”, ma che il libro, lì per lì, viene scritto senz'altro intento che quello di “liberarsi del libro medesimo” (ancora Nabokov).

Posso sfornare qui subito una quarantina di pagine di fine critica letteraria, un’approfondita lunga noiosissima e autoreferenziale esegesi della mia opera, con tanto di citazioni, divisa in capitoli e corredata di note, per dimostrare che sono riuscita coerentemente a dire quello che era nelle mie intenzioni.
Amo quest'albero, che ogni volta che lo scuoto fa gemmare nuovi pensieri.
Ma suvvia, chi la leggerebbe?
Perciò, se proprio non volete le 40 pagine, potreste voler leggere questa storia.

Infatti amo anche questa storia, sono stata felice nello scriverla, perché vi si avverano i sogni che nessuno oserebbe pronunciare: quel che nella vita reale non ci è concesso, qui si può.
E se di solito ci è proibito rimediare agli errori irreparabili, in questo libro è benvenuto ogni ripensamento.

All’inizio si tratta di rivisitare qualche snodo di una vita per rileggerlo e trovarvi un senso, tentando casomai di invertire una rotta, ma con il proseguire della storia la possibilità di reinventare tutto, di rifarlo, di recuperare il perduto si fa concreta.
Concreta fino all’imbarazzante punto di risvegliare i morti, o di salvare definitivamente i vivi.
A chi voleva una scelta è concessa una scelta, a chi agognava un ritorno il ritorno è accordato, qualcuno scenderà dalla croce su cui il tempo lo ha affisso, a un altro verrà regalata un’infanzia perenne, e infine sarà offerta loro la chiave del tempo, che li porrà al di fuori di esso.

Sono baciati dalla fortuna, ma le loro fortune non sempre liberano.
Questo libro in cui i sogni più sfrenati si avverano infatti è tutt’altro che divertente, è abitato da infelici, gente segnata, che ha perso tutto, qualcosa, o tanto, gente che vive per lo più dei propri scarti. Sono i tipi più afflitti che si siano mai visti.
Sono personaggi che si sono licenziati da ogni desiderio, darebbero qualunque cosa per dismettere i loro panni umani e complessi, per abbattere la visione prospettica a cui sono condannati.

Ed eccoli accontentati.
Ma c’è un prezzo da pagare. Abdicare all’essere nel tempo richiede un tributo alto, perché inseguire la velleità del rimedio rinunciando alla soglia sulla quale siamo costretti è buttare alle ortiche tutto l’impegno del nostro errare.