lunedì 9 ottobre 2017

POSTFAZIONE IMMAGINARIA

DI UN LIBRO IMMAGINARIO




Ci tengo a sottolineare che questo è un libro autoprodotto.
Perché? Ma è molto semplice: perché non ha ancora trovato un editore, un’investitura ufficiale che lo trasformi da libro immaginario a libro vero, da burattino di legno a bambino in carne e ossa.
A dire il vero ho lavorato pochino sulla ricerca di un editore, ne ho tentati una decina, è un po’ poco dicono, ma è un lavoro troppo duro quello di stare al concerto di Springsteen sperando per tutto il tempo di essere tirato sul palco a cantare con lui.
Perciò mi sono fatta la mia band, in attesa di suonare in pubblico su qualche piccolo palco di periferia.

Dunque che cosa ho scritto?
Diceva Nabokov che quando sentiva pronunciare la domanda su quale fosse l’intento dell’autore gli veniva in mente “un prestigiatore che spieghi un trucco con un altro trucco”, ma che il libro, lì per lì, viene scritto senz'altro intento che quello di “liberarsi del libro medesimo” (ancora Nabokov).

Posso sfornare qui subito una quarantina di pagine di fine critica letteraria, un’approfondita lunga noiosissima e autoreferenziale esegesi della mia opera, con tanto di citazioni, divisa in capitoli e corredata di note, per dimostrare che sono riuscita coerentemente a dire quello che era nelle mie intenzioni.
Amo quest'albero, che ogni volta che lo scuoto fa gemmare nuovi pensieri.
Ma suvvia, chi la leggerebbe?
Perciò, se proprio non volete le 40 pagine, potreste voler leggere questa storia.

Infatti amo anche questa storia, sono stata felice nello scriverla, perché vi si avverano i sogni che nessuno oserebbe pronunciare: quel che nella vita reale non ci è concesso, qui si può.
E se di solito ci è proibito rimediare agli errori irreparabili, in questo libro è benvenuto ogni ripensamento.

All’inizio si tratta di rivisitare qualche snodo di una vita per rileggerlo e trovarvi un senso, tentando casomai di invertire una rotta, ma con il proseguire della storia la possibilità di reinventare tutto, di rifarlo, di recuperare il perduto si fa concreta.
Concreta fino all’imbarazzante punto di risvegliare i morti, o di salvare definitivamente i vivi.
A chi voleva una scelta è concessa una scelta, a chi agognava un ritorno il ritorno è accordato, qualcuno scenderà dalla croce su cui il tempo lo ha affisso, a un altro verrà regalata un’infanzia perenne, e infine sarà offerta loro la chiave del tempo, che li porrà al di fuori di esso.

Sono baciati dalla fortuna, ma le loro fortune non sempre liberano.
Questo libro in cui i sogni più sfrenati si avverano infatti è tutt’altro che divertente, è abitato da infelici, gente segnata, che ha perso tutto, qualcosa, o tanto, gente che vive per lo più dei propri scarti. Sono i tipi più afflitti che si siano mai visti.
Sono personaggi che si sono licenziati da ogni desiderio, darebbero qualunque cosa per dismettere i loro panni umani e complessi, per abbattere la visione prospettica a cui sono condannati.

Ed eccoli accontentati.
Ma c’è un prezzo da pagare. Abdicare all’essere nel tempo richiede un tributo alto, perché inseguire la velleità del rimedio rinunciando alla soglia sulla quale siamo costretti è buttare alle ortiche tutto l’impegno del nostro errare.


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