venerdì 29 aprile 2016

QUALCOSA


Qualcosa
di quello che ci siamo detti
è andato perso.
Ho provato a tenere traccia di tutto,
ho anche segretamente registrato le voci,
ho ridisegnato col pennello
quel che mi sembrava di ricordare.

Eppure sono certa
che nel trambusto
dell'aspettarti
qualcosa è andato perso.

lunedì 25 aprile 2016

LE DIMISSIONI


È arrivato il momento. E' una strana emozione.
Come posso iniziare? Iniziare è importante.
Gentile...
Non è affatto gentile, tutto si può dire, eccetto che sia gentile uno così.
Vediamo internet, in internet c'è tutto.

Vi consigliamo, quali che siano le motivazioni che vi hanno spinto a fare questa scelta, di non inimicarvi il vecchio datore di lavoro approfittando di questo momento per sfogarvi di eventuali torti o ingiustizie subite, ma di essere superiori e congedarvi con signorilità.”

Signorilità. È la parola chiave. Signorilità, freddezza, e una nobile superiorità.
Massì, mettiamo gentile.
Gentile signore, rassegno le mie dimissioni.
Ecco.
Un foglio bianco.

Se fossi Fantozzi lo scriverei in cielo: “Il megadirettore galattico è uno stronzo.”
Ma qui c'è di mezzo la paura. La paura è come un polline che ti fa tossire e non ti lascia parlare; ne ha uccisi tanti la paura. Un'arma di distruzione di massa la paura.
Ma se solo per un attimo io non avessi paura, se per un secondo la paura si dimenticasse di me.
Intanto toglierei il Gentile, e anche il Signor, perché i signori sono altri.

Il fatto è che in questi anni mi avete privato di molti piaceri, primo fra tutti svegliarmi con calma la mattina, fare colazione come Dio comanda.
Perciò, Amministratore delegato, mi levo lo sfizio di darti del tu, come a un ragazzo, come a un garzone.

Tu, e tutti i tuoi simili, adesso mi ascoltate. Lo dico anche nel vostro interesse.
Perché per quanto mi sforzi di mettermi nei vostri panni, non mi riesce proprio di capire a cosa è servita questa strage.
Mi chiedo se vi rendiate conto di quanto noi vi siamo stati utili.

Non parlo solo con te, Amministratore, ma con tutti i tuoi, quelli di cui ti circondi, e senza i quali persino tu ti accorgeresti del poveraccio che sei.
Parlo con voi, piccoli e grandi capi, servitori di corte, kapò.

Oh, lo so che adesso lo negate, ma mi ricordo bene di quando volevate fare di me uno dei vostri. Quando mi dicevate con chi dovevo o non dovevo prendere il caffè.
Ma voi non vi esprimete così, no... voi dite cose come “Non è il caso”, perché non siete gente che si sporca le mani. Con voi un ordine sembra un consiglio. È la natura mafiosa del comando.
Voi vi limitate a sorridere, e chiedere: “Vai a mangiare con quelli?”
“Quelli”, che chiamate sfigati, che non vi sembrano uomini, ma maiali. “Meschini”, dicevate, “che mollano la penna alle cinque.”
Alle cinque, quando il sole se n'è andato e la giornata è finita, polverizzata.

Meschini siete voi, che vi domandavate perché ci fosse tanta depressione in azienda.
Incapaci di apprendere una cosa che si impara da bambini: che bisogna prima dare, e poi, casomai, avere.
Così vi siete riempiti la bocca di frasi fasulle: “Bisogna vivere l'azienda in modo sportivo!” “Vi vorremmo partecipi, intraprendenti!” “Ci preoccupa molto vedere alla sera gli uffici tutti vuoti.”
Come se il vostro non fosse un furto, come se la nostra vita ci appartenesse ancora, dopo aver firmato con voi.
“La produzione!” starnazzavate maccheronici.
Noi, per produrre, siamo stati inchiodati alle sedie, perché voi eravate troppo occupati a parlare.

Me lo ricordo bene quello che dicevate per avermi dalla vostra parte:
“Non vorrai finire come loro!” scherzavate con me, dandomi di gomito.

E io lì fui presa da ben altro terrore: quello di finire come voi.
E fui subito contro di voi, tra quelli che, nonostante voi, producevano per voi.

Ma statevi bene attenti, ché la vostra sicurezza è artefatta. Statevi attenti che non è per sempre, ché se anche la vostra sedia non dovesse mai tremare, non crediate di potervi mettere al riparo dalla coscienza, perché non siete voi i padroni della vostra coscienza, ma lo sono coloro che vi osservano compiere i vostri misfatti, e che vi giudicano per essi.

Ecco, amministratore delegato, capo del personale, capo reparto, capoufficio, gentili miserie, eccovi le dimissioni di un soldato semplice, ve le dico con le parole di Dino Campana, il poeta pazzo che in poche parole mi restituisce la dignità che mi ha tolto il vostro lurido stipendio.

CI FU UN TEMPO PRIMA DI PRENDERE COSCIENZA DELLA CIVILTA' ITALIANA CONTEMPORANEA, CHE IO POTEVO SCHERZARE.
ORA QUESTA CIVILTA' MI HA MESSO ADDOSSO UNA SERIETA' TERRIBILE.
PERCIO' IO SONO ANCHE TRAGICO E MORALE.

Dino Campana      




venerdì 22 aprile 2016

PERCHE' ODIATE GLI STITICI?


Se è di questo che dobbiamo parlare
se lo sterco è l'argomento ed il premio
allora avanti
mettiamolo in mostra lo scarto del mondo
noi così prolifici
addosso agli stitici, loro che
poveretti
troppo critici, tengono tutto,
a lungo e senza un lamento.

"Io non sono stitico!"
si difendeva uno,
"sono solo uno che
ha preferito studiare." Emblematico.
E dagli a 'sto fesso, se proprio si ostina,
si ribella, non si abitua
a star sul cesso.
"Pigrone!" lo insultano
e ridono, gran cagoni banali, ridono, rabbiosi,
come se il mondo
fosse davvero dei traffici anali.
E che ci sarà di ridicolo
ad aver l'intestino un po' timido?
Che ci sarà di gretto, di ipocrita
nell'agir poco col retto?
Tanta fierezza
per una schifezza.

E sia, facciamo la gara
a chi più caga
disprezzo batte disprezzo.
Sarà divertente vedere
il mio contro il tuo pezzo,
come nel petto ti batte uno sfintere,
se all'intestino tenue come all'arco metti frecce,
come nel cranio un budello ti lavora.

Benché assai impopolare
andatene fieri, godete
del poco cagare
ché ad essere seri, vi dico,
ne basta poca, meno è e più si può respirare.


Da un’idea di Maledetto Quelgiorno
una Produzione

Con un Alberto Marotta in solitaria
privato della “spalla ridanciana"


postproduzione:
VOLUTAMENTE approssimativa






lunedì 18 aprile 2016

LE MAMME BEVONO





Dal genio creatino di due come noi, il video



Con l'incredibile Alberto Marotta


E bevono forte.
Sarebbe un gran casino se la cosa venisse fuori, ma dovremmo tutti metterci una mano sul cuore: le mamme, e anche alcune maestre, bevono, mattina pomeriggio e sera.
Me lo dice la mia amica di sotto, quella col bar, e se non lo sa lei...

Pare che si presentino pallide e spettinate con mille cazzi per la testa e chiedano da bere a gran voce, e guai se non le servi subito. Si innervosiscono, picchiettano con le unghie laccate sul vetro del banco frigo, girano inquiete tra i tavoli a fissare storto gli avventori.
Sputano fuoco. Sono una specie di tribù pericolosissima, somigliano a draghi.
Hanno occhi azzurri, occhi castani, occhi a mandorla, a ciliegia, occhiali, da vista e da sole, hanno le scarpe, le borse, la spesa, hanno le labbra, il naso, i piedi.
E la gola secca.

Poi escono tranquille, un paio di bicchieri e tornano come normali esseri umani, come se in quel veleno ci fosse la pozione del Dr. Jekyll. Fotografie di mamme e maestre, in bassa definizione, strisciano fuori inebetite e con gli occhi lucidi. Il bar tira un sospiro di sollievo.
Bisognerebbe seguirle nelle loro case, scoprire se i loro bambini sono stati abbandonati soli a casa perché loro potessero andare a farsi un goccio, vedere se dopo quel bicchiere le maestre, le educatrici, gongolano a casa nel dire parolacce e grattarsi il culo.

C'è poco da stare tranquilli. Dovremmo capire fino a che punto sono disposte ad arrivare per due sorsi, perché nel segreto delle cucine e delle aule di scuola queste donne, queste drogate, volteggiano implacabili sui nostri bambini spuntando fuoco, senza pace, inesorabilmente in cerca di una dose.





venerdì 15 aprile 2016

CLICCOCRAZIA


C'è  sicuro un dimenticatoio delle password
un cimitero di passaggi senza segno.

Se non è questa che una cliccocrazia.

Simile ad ogni altra crazia
prosperando ignora
ciecamente
gli inadeguati, silenti, sconosciuti,
se ci sono,
generosi dissidenti.

E corpi traslucidi
si rivestono
indossano i clic, i molti clic,
come l'uomo invisibile
li trovi cercandone gli abiti.
Questo corpo emerge, affiora, si colora
evanescente,
il resto è acqua passata.

Lo sappiamo bene
"noi blogge"
che ci siamo aperti il sito
per rifarci il corpo perso.

Ma bene, avanti
perché è lì che si vive
se non stai lì non ci sei
io l'ho capito
e mi son fatta la mia anima
e il mio corpo
e ce l'ho
e ho uno strano malessere
ma mi ci abituerò.

Qualche difficoltà
ancora
con le faccine di cazzo
tu mandi la faccina col bacino
e l'altro te ne manda quattro
allora ciao con la manina
e avanti così
all'ultimo sangue.

Quando sarò sazia
e capace
e mi verrà la tristezza
perché come niente mi sarò cancellata,
allora farò una cosa bella,
la farò da vecchia
quando sempre più ripenserò
a me bambina,
allora inventerò, e costruirò, e premerò
il tasto "esci e dimentica".

lunedì 11 aprile 2016

LORO


"Ma non diciamo cazzate!"
Ecco cosa bisognerebbe rispondere a certa gente.
Ma no, invece no, niente da fare. Abbiamo paura di loro, dei loro sospetti, abbiamo il terrore delle loro accuse.
Vorremmo che si fidassero di noi. Ma non perché in fondo li vorremmo amici, no, non per questo. Come amici non li sopporteremmo. E' solo perché ci illudiamo che così la smetterebbero di fare domande, di attendere il nostro assenso.
Ma non c'è possibilità.

Stanno nei nostri condomini, ai nostri banchi di fiducia al mercato, per le strade, nei cinema, persino in coda a Genova, all'imbarco per un'isola, ovunque.
E' l'avvocato che ti fece quella consulenza gratuita.
Il salumiere che ti assicura che il suo crudo è il migliore, e non c'è modo di dirgli che tu non te la bevi e che il suo crudo è assolutamente mediocre, ma ci passi davanti tutti i giorni, non puoi cambiare salumiere.
E' la signora di sotto, che un giorno la settimana prende il tappetino dell'ascensore e lo lava, e vuole essere ringraziata.
E' la madre dell'antico fidanzato, che incontri sempre per strada.
E' la vecchia collega a cui prometti ogni volta che andrai presto a pranzare con lei.
E' l'amico che ha avuto due figli di cui tu non ricordi mai i nomi.
E' il vecchio dentista che non sa fare altro che estrazioni senza anestesia, ma che non osi tradire per paura che si offenda.
Il capoufficio a cui fai credere che ti dai un gran da fare, che tutto è sotto controllo.
L'amministratore delegato che ti pensa congruamente ricompensato.
I colleghi a cui ti mostri garbatamente felice.
Il parente che ti pensa il primo della classe.

Non possiamo farci niente, di fronte a queste persone la nostra libertà, il nostro libero arbitrio è completamente azzerato.
Loro chiedono, non fanno che chiedere, informazioni su di te, ti impongono il loro prodotto, il loro parere, pretendono gratitudine, e tu non sai neanche per cosa, ma devi rendergli conto.
Sono persone che popolano le nostre vite.
Non c'è nulla da fare. Noi li temiamo, prendiamo le strade più tortuose per  evitarli, ci nascondiamo, fingiamo di parlare al cellulare. Ma non c'è nulla da fare, a questi non si sfugge.
Possiamo solo aspettare che crepino.




venerdì 8 aprile 2016

I GRANDI SONO DISPERATI


Non dirò che i grandi sono strani, perché lo hanno già detto tutti i bambini dei film e tutti i ragazzini autistici dei libri sui ragazzini.
E poi "strano" non vuol dire un bel niente, è una parola per tutto ciò che non è perfettamente in ordine e controllabile, e di questo passo allora tutto prima o poi finisce con l'essere strano, almeno per un giorno.
E non prometterò neppure che non sarò mai come loro, perché lo so che succederà.
No, i grandi non sono affatto strani. I grandi sono disperati.

Guardali lì, complicati, rumorosi, caotici.
E dimentichi.
Danno la sensazione di passare il tempo a cercare una cosa che hanno perso. E allora per ritrovarla lavorano, parlano, piangono, e mentre fanno questo a volte gli scappa da ridere, almeno ai più simpatici tra loro.
I grandi si drogano tutti. Fumano, bevono, vanno in palestra, lavorano, sognano, vanno dal dottore dei pensieri. Si fanno un culo così. Perché la loro vita è terribile, sempre in cerca di quella cosa. Non sanno di cosa si tratti, se lo sono dimenticato, e sperano che gli passi davanti, sperano che a farsi il culo la riavranno indietro, la loro cosa smarrita.
Alcuni non sanno neppure che l'hanno persa, per loro è peggio che mai. Questi brancolano nel buio, non hanno un attimo di pace, questi sono come la principessa sul pisello, che dorme e non riposa. Dorme, ma si sveglia a pezzi.

Ma quelli che restano a rigirarsi nel letto domandandosi cos'è... Quelli, io dico, perché dannarsi tanto? E' chiaro che quella cosa è andata e non tornerà.
Possibile che non si ricordino che cos'è? Solo quando ascoltano una musica, mangiano del cioccolato, leggono una poesia, a volte, hanno come un barlume di ricordo.

Certo che lo so, lo so che cos'è quel che hanno perso, perché i grandi sono noi, tra un po'.
Perciò lo so: hanno perso tempo. E quando quello se ne va, ciao ciao.
Passano il resto della vita come pazzi, perché il tempo se n'è andato. Se soltanto lo sapessero, se capissero che l'unica è ricordarselo, il tempo che se n'è andato, avrebbero qualche speranza. Magari mette un po' di malinconia, quello sì.
E invece sono disperati, perché non ricordano nulla.






IL LIETO CONTRIBUTO VIDEO
CON ALBERTO MAROTTA,
PRATICAMENTE UN GENIO

STA'TENTO: se lo apri dal fb, magari col telefono o il tablet, il video non funziona.
Esso va SOLO DAL SITO
Eh, mi spiace


lunedì 4 aprile 2016

CHE ORA E'


Ho tutti questi amici mamma.
Mi vogliono bene, non so perché
me ne vogliano tanto.

Non ho fatto molto,
solo quello che mi è stato ordinato,
le regole,
e le trappole che vi si nascondevano,
idoli di obbedienza e di trasgressione
poi qualche fiore
e ancora esami e bilanci
e non so se ho mai seguito veramente
un desiderio.

La vita passa mamma,
e avrei potuto fare meglio, io credo.
Non vedo più nella tua foto uno sguardo tranquillizzante,
vedo solo che stai lì
e io non so cambiare la tua immagine
in qualcosa di vivo che ritorni a palpitare.

Che ora è?
E' tardi, è presto, è lo stesso.
E' quando la giornata finisce
dando l'illusione che il tempo progredisca,
ma è l'arresto della vita.
E' la tua paralisi nella terra, è la mia sulla terra.

venerdì 1 aprile 2016

STO LAVORANDO


Lui sta lavorando. Ha un indice che conta fino a uno, all'insù, la bocca aperta senza favella, all'ingiù, la fronte e il mento contratti. Tu lo sai cosa vuol dire, lo senti nella mente, vuol dire un minuto...
E quando tu scuoti la testa, allora lui finalmente parla, dice: "Sto lavorando!"

Sta lavorando, lui. Lui e il suo camion, furgone, fiorino sciagurato, stanno lavorando. Sta lavorando quindi sta lì e ci sta quanto gli pare.
Appuntamento dal dottore? No, sta lavorando. Figli da portare a scuola? No, sta lavorando. L'Interpol ti insegue? Sta lavorando!
Stai lavorando? No, sta lavorando lui.
E sta. Sul marciapiede. Sulla ciclabile. In mezzo all'incrocio. Infilato nel tuo culo.

"Sto lavorando".
Ah, benone. E di lavoro cosa fai, vanifichi obiettivi?
Chissà come mai, con me questa storia del lavoro non attacca. Io non ho una virgola di rispetto in più per te per il fatto che stai lavorando, non mi cambia di nulla quello che diavolo stai facendo. Stai facendo la cacca? Stai pregando? Accomodati, un po' più in là.
A meno che tu non stia affogando, non stia conducendo un popolo attraverso il Mar Rosso, o non stia inventando la macchina del tempo, è assolutamente bizzarro che tu, di cui io non so nulla e con cui non ho mai diviso neppure l'ascensore, chieda a me di aspettare, al di là di qualsiasi mia esigenza. E' strano per entrambi. Prima conosciamoci.

Perciò senti, gran lavoratore, tu stai lavorando, e sia, e io non posseggo nessun furgone o fiorino o maledetto camion per impedirtelo, però devi ficcartelo in testa che non tocca a me pagare un prezzo per quello che è un tuo problema.
Va' dal tuo capo e digli capo, io non posso impedire alla gente di passare, di arrivare in orario dove deve arrivare, perciò dammi un furgone più piccolo capo, per andare in quelle stradine. O non darmi affatto un furgone, insomma capo, tu sei capo per questo, per far funzionare le cose.

Perché, amico, io adesso mi stendo qui in mezzo alla strada e mi faccio un bel pisolino, e quando tu mi vieni a disturbare perché devi passare, io ti guardo con gli occhi stropicciati, e sbadiglio, e ti mostro l'indice triste che dice un minuto, e ti dico: "Sto riposando".
Diglielo al tuo capo.

Il lieto contributo video:



ALBERTO MAROTTA

un talento di cui sentirete parlare


e gentile collaborazione di GIAN LUCA