mercoledì 30 marzo 2016

TUBI


Siamo cattivi
ci fanno schifo tutti
non è rimasto nessuno
facciamo le battute
per una battuta ci facciamo ammazzare
o facciamo a pezzi il compagno.

Non crediamo a una parola,
se c'è la differenziata
tanto poi mescolano
se un amico è un po' allegro
di sicuro ha pippato
e quando si innamora
è finita un'amicizia.

Non è rimasto nessuno

a firmare una petizione
a dire buon Natale
a stare zitto quando deve.

O forse non siamo cattivi
siamo solo tubi
che mangiano panini
persone
pianeti
e li trasformano in merda
rimpianti
pattumiera.

venerdì 25 marzo 2016

C'È UNA DONNA


C'è una donna, trentaquattro anni, ha partorito da poco.
La neonata non dorme, piange, vomita. Allattarla è una specie di offerta agli dei crudeli, una vergine da squartare, un parente che brucia vivo. Fa un male cane.
"Quelli così sono terrificanti," le parole della pediatra che la vede a venti giorni.
A Dio non pensa più molto e da molto, ma in una di quelle notti, seduta tra i suoi brandelli, scrive all'amica d'infanzia: "Mi sento Cristo sulla croce che chiede Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato?"
Non c'è una madre, una sorella, qualcuno che le dica ci sono qua io, andrà tutto bene.
Passa un anno, giorni di cui parla senza gioia.

Inizia l'asilo nido, dove la bambina è soprannominata grillo, perché i grilli saltano.
Anche lì dorme poco, e quando lo fa, a casa la notte si salta.
La creatura è un esemplare di bambino particolare, di quelli che ti immagini sotto gli occhi di dottori accigliati che prescrivono sedativi.
Quello che era un neonato agitato è diventato un bebè vivace, e infine una bambina straordinariamente attiva e inquieta. Qualcuno usa la parola "birbona", qualcuno "strana".
A lungo non si dorme, circa quattro anni e mezzo.

A braccio di ferro la donna non ci aveva mai giocato, non le piace, sente il dolore nei muscoli, e stringe denti come se non avesse altro in bocca, né lingua per bere né parole per piangere.
C'è una luce di bosco in quella bambina, venuta da dove non si sa, un pianeta diverso dove si parla un lessico grave e musicale con un codice da conquistare.
Goccia a goccia quel codice entra, si fa decifrare, gocce di sudore, gocce di lacrime, e gocce di mare che seccando lasciano il sale e la sabbia. È lì nelle sue ore silenti mescolata alla spiaggia solitaria che la creatura si trasfigura nella ninfa che è venuta a essere. Gocce di colla vinilica, gocce di cioccolata, grandi gocce di pioggia in bicicletta.

La bambina ha sei anni e mezzo.
È dalla notte del messaggio mistico che la donna si sente dire cose: sua figlia dovrebbe stare più ferma a tavola, ma lei spesso mangia, seppure a tavola, in piedi. Dovrebbe addormentarsi diversamente, la bimba però si rigira forsennata, si fa in quattro per addormentarsi, a volte, smarrita, confessa che non ce la fa proprio, non riesce a dormire. A scuola dovrebbe stare più attenta, così la mamma glielo ripete e cerca di farle fare giochi di concentrazione, le costruisce laboratori in camera per isolare in quell'angolo quel suo fuoco sacro, ché non invada il resto.

La bimba è bimba, e vuole le sue attenzioni, se deve ti guarda storto da fare paura, dorme poco, mangia poco, non ascolta, corre dietro ad assurde passioni. Sport non ne fa, ha provato cose, potrebbe fare tutto, ma non l'appassionano, si stufa presto, i maestri delle attività domandano se la bambina ci senta. Quello che vuol fare è inventare cose, continuamente, ha troppo da inventare per lo sport, gli scacchi, il pianoforte. E correre, correre, correre. Seguire il vicolo dietro al portone che si apre inaspettato, seguire l'uccello nel cielo, seguire il ruzzolone nella tana del Bianconiglio.

La sera certe volte saluta le stelle, il luogo in cui risplendono i morti, e tra le stelle la nonna che non ha conosciuto e l'amico di mamma che la spingeva forte sull'altalena, parla con loro, dice nessuno mi spingerà mai più così forte.
Dice di avere dei poteri, tipo far parlare le cose, ma non vuole che si sappia in giro. Recita mantra, compie scongiuri, ma anche questo è un segreto.
Le maestre danno compiti a casa, rimediando così alla sua distrazione in classe.
La donna a volte urla, per farle imparare a memoria filastrocche insensate, per farle fare le addizioni a mente, per farla dormire, o restare a tavola.
La donna ne è così conquistata che passa con la bambina tutto il suo tempo, anche quello che non ce la fa. A volte si farebbe placcare un braccio nel metallo fondente pur di scappare da quel tempio. Ma altre volte pensa che quella bambina sia l'unica che la capisce, perché il mondo non somiglia né a lei né a sua figlia.

"Ma se è così in gamba, ma se è così intelligente..." si sente dire, "Forse sei tu che la devi contenere", "No, falla sfogare, falle fare sport", "Meglio lo yoga", "Ma quale yoga? Compiti fino a che crolla!" "Vuole attenzione non vedi? Fa' cose con lei, mettici la testa..."

Così l'altro giorno le stavo dicendo un "forse dovresti..." quando all'improvviso ho visto quei sei anni e mezzo, li ho sentiti nella stanza, tutti quanti, sulle pareti, tra i cuscini del divano, nel tintinnio delle stoviglie in cucina, mi è sgocciolato addosso ogni giorno di quegli anni, uno dopo l'altro. E ho compreso che non c'è abbastanza amore in una sola persona per tutto questo.
E ho compreso che chi è da solo contro il mondo non è in cerca di insegnamenti, ma di aiuto e di fiducia. Ho conosciuto in un attimo il loro diritto a farcela, a essere diverse, tutt'e due.
E le ho detto ti aiuterò io a difenderla.


mercoledì 23 marzo 2016

PRIMA


Se potessi
io con dolcezza te la scriverei
mio caro amore
questa poesia che inseguo
e che mi ha attesa.

Perciò penso a prima,
prima del sospetto che amarti tanto
non fosse poi quel grande merito,
allora prima,
mio caro amore mio,
paesaggi e alte chiese,
fiumi boschi pendii
linguaggi suoni e tuoni
e stanze inondate di noi,
e per le strade la notte
i luccichii della notte.

Prima amore, prima
di questo indegno e infame oblio
che tu hai di te,
prima c'erano fortunate cose
come una musica.

domenica 20 marzo 2016

LA NEVE


Questa volta avevano detto giusto. Questa volta vi seppellisco per davvero. Un centimetro all'ora.
Per adesso sui davanzali sono pochi centimetri, ma se ci infili un dito medio te lo divoro in un boccone.
Sui tetti non mi sto solamente appoggiando, li sto ricoprendo, come se sotto non ci fossero tegole, ma lastre, lastre fatte di altra neve, immense, dalle quali verrò giù a mucchi pesanti, come slavine, come succede sulle montagne minacciose laggiù.
Adesso però là in fondo non si vede nulla, un fondale bianco, come se si stesse formando una barriera tra la città e la realtà, qualcosa che silenziosamente cresce, si fa potente e domina.
E' nella città che vi isolerò.

5 centimetri. Dicono che quando nevica fa più caldo... Seee, certo. Ma quando tutto è sepolto sotto un metro di neve, che con i giorni si trasforma in ghiaccio, allora sale un freddo dal suolo, che spacca la pelle.

6 centimetri. Forse le tubature non si romperanno ancora, ma l'acqua si ghiaccerà lo stesso. Si irrigidirà tutto, si spaccherà l'asfalto squarciando le strade. Allora tutte le macchine andranno una addosso all'altra, e non ci sarà più modo di uscire di casa. Nessuno andrà al lavoro, i negozianti non apriranno le botteghe.
Li sento già lamentarsi che gli affari sono fermi, che così non si può... "Andare avanti così non è possibile... il Comune intervenga!"

7 centimetri. I padroni delle aziende manderanno ai loro impiegati delle lettere di ghiaccio in cui ci sarà scritto che ogni giorno di assenza sarà considerato un permesso non retribuito. Ma queste lettere non giungeranno mai a destinazione, perché i pulmini delle poste non potranno uscire dai loro garage.
Allora i padroni delle aziende faranno delle videoconferenze per consultarsi tra loro. "Così il Paese collassa, il Governo intervenga!"

7 centimetri e mezzo. Dove guardi, sono qua. E' inutile che cerchi fuori. Vedo donne in lacrime, telefonano ai parenti lontani, gridano il loro orrore nella cornetta, i mariti porgono loro un calmante.

8 centimetri, mio Dio. Nelle anagrafi e nei catasti  bruceranno le scartoffie per scaldarsi, in breve non ci saranno più moduli da compilare, e non avrete più il controllo di chi siete e dove state.
Chiuderanno le banche, non avrete denaro.

9 centimetri. Sua Santità si affaccerà al balcone, tuonerà: "Il Signore ha scelto questo giorno per scatenare la sua furia!" Ma voi peccatori non sarete in tempo per pentirvi, perché la furia di Iddio ha sigillato i portoni di chiese e monasteri con un filo di ghiaccio eterno.

10 centimetri!
I bambini! I bambini non andranno più a scuola, saranno presto dei rozzi ignoranti che si tirano la neve nei vostri cortili. Saranno vichinghi.

11 centimetri. Lasciate ogni speranza.
Potete gettare sale, mandare spazzaneve, eroici spalatori. Potete, ma la più forte sono io. Io non smetterò mai.

venerdì 18 marzo 2016

EUTANASIA



Ecco, maschi, perché noi siamo qui. Ingombranti. A battervi il tempo col piede. Con le mani sui fianchi. A guardarvi dritto guardandovi storto.
A farvi sospettare che prima o poi verrete accoltellati nel sonno.
A manipolarvi, come se voi foste persone di cui non ci si può fidare.
A farvi camminare guardandovi le spalle.
Siete per noi come quegli specchi deformanti dei baracconi, vi guardiamo e ci vediamo, vediamo come saremmo se fossimo brutte sporche e cattive.
Eppure siamo qui ad ammaestrarvi, domatrici di bestie, addestratrici di gorilla, a farvi saltare dentro cerchi di fuoco e premiarvi con noccioline.

Perché?
Perché altrimenti voi, placide ombre, il sentimento ve lo mettete in tasca, come un portafoglio, come un accendino, che ne vengono fuori per svolgere funzioni.
Ecco perché siamo qui. Tra i piedi. A interrompere solitudini.
Siamo qui per impedire la vostra eutanasia.

Perché noi vi amiamo, è una pazzia ma vi amiamo, e siamo come un'otite, un'infezione alle gengive, una freccia in un occhio, ma vi facciamo pietose carezze, vi teniamo la mano come se la frizione tra i palmi facesse cadere il velo, la patina che copre ogni cosa, come se lì pullulasse una bellezza naturale, coi suoi fiori che sbocciano, le sue nevicate e le spiagge ventose, come se lì in mezzo lampeggiasse un campo di lucciole. Senza quella bellezza tra le mani, sarebbe eutanasia.


mercoledì 16 marzo 2016

IL NODO DELL'ANIMA


Come disfare il nodo fatto all'anima?
Nascere annodati
né avanti né indietro
ma solo nel centro dell'ombelico
avvistare un segreto.

Gli annodati,
la vita è per loro
un labirinto di vie false, infinite,
girano girano, senza saperlo mentre camminano
costruiscono un nodo, intrecciano la rete
che li legherà.
Hanno nell'animo un sangue
che continuamente coagula.
Anche quando corrono
ripercorrono.

Nascere annodati non salva dal silenzio
non marca il passo al poeta,
nulla li siede tra gli invitati.
Sono, gli annodati, al contrario, dannati
a cantare stonati.

Il loro martirio è un nodino.
Come un pozzo nel cuore, soffia da lì
una sola strangolata preghiera,
quella del morente.
Nel petto s'aggira un sospiro
non esce, non sfonda la porta
ricade, rituona, ritira.

È il nodo fatto all'anima.

domenica 13 marzo 2016

AL FUOCO


Paura io?
No, no, per carità, qualche attenzione, qua e là, ma non si può sicuramente parlare di vera paura!
Diciamo pure che se togliamo una piccola trascurabile antipatia per il fuoco, allora si può tranquillamente affermare che io non so che cosa sia la paura.

La velocità? L'altezza? I ladri? Bazzecole.
La morte? Le malattie? Mi fanno il solletico.
Certo, non entro in un luogo pubblico da secoli ormai, e se dovessi essere costretta a farlo, Dio solo sa che cosa potrebbe accadere, ma per il resto, è tutto ampiamente sotto controllo.
E' chiaro che, per motivi di sicurezza, non uso né il gas né l'elettricità.
Come faccio? Eh, come faccio. 
Sto al freddo. Che poi è anche più salutare.
Anche il cibo crudo è più sano.

Il gatto invece mi ha dato qualche problema, di recente l'ho fatto fuori. Una notte si è avvicinato facendo le fusa, gran tenerezza, e io ho preso ad accarezzarlo, e più lo accarezzavo e più ne voleva, allora giù coccole forsennate, pelo e contropelo. E' stato lì che, al buio, ho notato le scintille. A furia di carezze, il suo pelo faceva piccole scintille.
Ho fatto quello che andava fatto.
Va bene tutto, ma le scintille sono come una condanna a morte per come la vedo io.
Da quella notte, per maggiore sicurezza, dormo nella vasca da bagno. Per qualsiasi emergenza, basta aprire l'acqua.
Nei momenti peggiori faccio che riempire la vasca già dalla sera, e mi ci immergo e buonanotte.

Ma a volte il fuoco arriva da dentro, è tutto un divampare. Non so come succeda, all'improvviso, inizia come un calore intimo, il crepitare di una carta che si consuma mangiata da un orlo di brace. Si accende sempre più, nel mio cuore mille mani vengono a portare rametti e foglie secche, che alzano la fiamma, fino alla gola, fino alle narici.
Mi guardo intorno e non ci sono palazzi in fiamme, ma dentro, qui, nel petto è un bruciare insopportabile, da strapparsi i vestiti, i capelli, la pelle.
Mi metto a correre, mi metto a piangere, a urlare.
Non c'è acqua che spenga il dolore. Grido "Al fuoco! Aiuto! Aiuto!" Arrivano i vicini spaventati, con gli estintori in mano, e mi trovano lì, sudata, dietro la porta, mezza nuda, con i graffi sul corpo.
Poi lentamente il cuore stesso diventa un ceppo di quercia, che brucia piano, per qualche ora, fino a spegnersi, fino a diventare un bel ciocco di carbone. Fa un male cane.

Ma a parte questo, io non ho paura.

venerdì 11 marzo 2016

FOGLIE


Voi e le vostre stramaledettissime foglie, siete una cazzo di setta.
Ho un sacco di mali, mali piccoli, mali grandi, seccature. E voi mi date la malaleuca, il ribes nero, l'essenza di agrifoglio.
Ve lo potete mettere in culo l'agrifoglio.

Mi fate paura, parlate un linguaggio tutto vostro, prescrivete, con sicurezza, con fede, consigliate e assicurate guarigione con quegli occhioni ottusi, che credono a tutto, che si bevono tutto.
Ho detto che sono ingrassata, mi avete chiesto se è perché mangio troppa frutta. Frutta? Io non conosco neppure una persona che mangia troppa frutta.
La cura? Mangiare solo la buccia.

Sono sicura che le erbacce vi crescono nella testa.
Immagino i vostri intestini pieni di muschi, le vostre orbite ingiallite dagli infusi. E sento la stanchezza di una vita passata a cercare rimedi, a preparare piatti che gridano vendetta, lo stress continuo di restare sani, salubri, incontaminati. Siete pieni di merda.

Avete un ricettario in tre capitoli: "Tristezza", "Sacrificio", "Noia". Vi alimentate di queste pietanze che vi fanno puzzare di muffa, ma ci guardate con pietà se ci pappiamo allegramente una fetta di Taleggio, perché si sa, lo sanno tutti, i latticini sono veleno, puro demonio.

In chiesa non ci andate più, ma i confessionali in cui volentieri vi inginocchiate recano insegne come L'arca degli gnomi, L'albero della luce... posti che fetono d'incenso come le chiese. Ma mentre i cristiani si evolvevano, e smettevano di cercare di convincermi, siete arrivati voi e la vostra guerra santa. Solo che i vostri sacerdoti mi fanno ridere, quando cercano di confessionalizzarmi.
No, voi non ci andate più nelle chiese, ma diamine se vi date da fare in parrocchia, chierichetti, diaconi e perpetue.
Giuro che nei miei peggiori incubi vi vedo prendere a scudisciate la gente gridando Penitenza!

E quando mi viene un mal di testa, un mal di denti, un mal di schiena, quando l'ansia mi attanaglia da giorni, voi venite da me, pieni di mitezza paterna, e mi tirate fuori quei nomi di merda, da prendere sedici volte al giorno per otto mesi consecutivi e senza toccare metalli. Vedrai che prodigi!
E io vi amo per questo, perché mi date il dolce piacere di un sogno, io in quel momento desidero, e lo vedo come se accadesse sotto i miei occhi, io mi vedo lapidarvi con i vostri maledetti pallini di zucchero, una sassaiola, una mitragliata di pallini del cazzo.
Perché il vostro paternalismo è utile come il cerume delle orecchie. E le vostre prove scientifiche, una lista di amici miracolati, sono solide come il mio piscio.

Ecco che per voi un mal di pancia diventa una buona occasione, andate a farvi i test delle intolleranze e... Sorpresa! Siete intolleranti! Finalmente un buona notizia!
Padre Pio aveva le stigmate, voi avete le intolleranze.
Siete ovunque, ma quando la smetterete?

E vi sentite salvi perché nelle vostre arterie scorre acqua pura come sorgente, ma fede, dottrina, dogma, questo vi intasa le sinapsi.
Così, come i preti, sorridete di un sorriso invertebrato, sorridete persino alla morte, perché secondo voi essa viene in pace. Smettetela di sorridere.

E mi volete convincere che parlate con gli spiriti. Giurate e spergiurate il falso. Non fate che elencare i meriti di pranoterapia e stronzate varie, ma mai, mai Cristo, che vi senta parlare di cose di questa terra, razza di imbecilli confusi.
Cazzo di setta, setta di merda.



mercoledì 9 marzo 2016

I MAESTRI LAUREATI


Ascoltami, i maestri laureati
si muovono soltanto fra i bambini
già imparati.

Non tu bambina
regina di misteri
fabbricante di illusioni
burattinaia dei quaderni smarriti
che dici vado in bagno ed entri in cucina
che mentre cammini ti scivola un piede
nell'infinito.

Che ti alzi ogni mattina controllando
se le ali nella notte son sbucate
e dall'alto dell'armadio
gridi guarda sto imparando
sto volando.

Eh no, non tu
che hai inventato il micidiale 'liberometro'
misuratore di felicità
tu che sulla pagella sembri una da niente.

Ecco la verità:
sarei un po' delusa
se la maestra mi dicesse
è sempre attenta non pensa mai a qualcosa
conosce data e ora
non si confonde mai, è grande
la sua cartella è in ordine e il suo pensiero pure.

Lo preferisco puro
vorticoso e distante
perso dietro a un canto
o ad un bagliore
lo preferisco alto
offerto a foglie e nuvole
piuttosto che sul tavolo, conforme ad ogni stile.

Non hai memoria? Avrai più fantasia.
Sei distratta? Ricorda:

nessuno è distratto
è solo concentrato
su quell'altro.


domenica 6 marzo 2016


IL LIMONE



Se ne sono andati tutti, uno a uno, ogni mattina la stessa crudele roulette.
D'altronde non mi sono mai abituato a questo mondo, a questo maledetto frigorifero classe A, e al suo sibilo glaciale, funereo. Brrr.
E poi, andarsene così, mescolati a una banana e a un cucchiaio di zucchero di canna. Uno al giorno, nel frullatone del mattino.
Sono rimasto soltanto io. Domani tocca a me.
Oggi sicuramente verrano i nuovi, con le loro fiabe e mitologie da agrumeto, come quella di Jack Lemon il pirata. O di quel Limontale che commosse gli uomini.
Arriveranno tutti insieme, come bestie, e se mi va bene mi rotoleranno addosso coprendomi, nascondendomi.
Potrei latitare così chessò, altri otto o nove giorni. Ma se ho capito qualcosa di come va il mondo, loro resteranno al sicuro sigillati nella retina gialla fino a martedì. E domani tocca a me.

Ebbene, sono pronto. No, per carità, non è per far pietà, e quale destino vuoi che abbia un limone? Ho vissuto, e me ne andrò, come tutti.
Come il povero Flipper, deciso a fare di sé qualcosa di buono... Chissà che, dentro a questo frigo. Povero giovane Flipper, allegro e fiducioso. Il primo ad andarsene. Quando sono arrivato io, sono ormai due settimane, ce n'erano ancora un paio del turno di prima, altri giri, altri circuiti, gente del biologico, che raccontavano di quando avevano visto il Sud. Il leggendario Sud.
Esisterà poi davvero?
Si sentivano chissà chi per questa faccenda del Sud. Ma a chi la raccontano. Quelli il Sud non l'hanno mai visto neppure in cartolina.
Sono i peggiori quelli che credono di sapere tutto solo perché ne sanno una.
E Nando, che era uno, lui sì, che la sapeva lunga, gliene ha dette quattro a quei limoncini striminziti, buoni soltanto per la maionese, o per guarnire. Ma io dico, alla fine, tutti dalla terra veniamo, non c'è molto altro da imparare oltre a questo.
Adesso  non c'è più neanche lui, e francamente se ne sente la mancanza quando, al buio, qui ci si annoia, e per combattere il freddo si fa un po' a cazzotti.

Se ne sono andati tutti. Pizzico, piccoletto ma incazzato, sempre in coppia con lo Spirlungo, così si faceva chiamare, alto quanto scemo e silenzioso.
Nina, anche lei, che la menava tanto con quel suo Frank, brutto muso. Il problema con quel tipo era che Nina era una di noi, e noi siamo gente che sa il fatto suo, magari un po' vagabondi, ma leali, ci guardi in faccia e già sai con chi hai che fare. Gente semplice noi limoni.
Ma quel Frank, quello era una maledetta mela. Non sai mai quali mostruosità ti nasconde una mela. Quelle non fanno gruppo come noi, hanno manie di protagonismo. Individualiste, tutte carriera e ricette speciali.
Povera Nina. Che ci trovava nelle mele dico io? Robetta di campagna. Povera Nina, poche ore che se n'è andata, e già dimenticata. Però che sventola ragazzi.

E oggi, accidenti, oggi se n'è andato anche Fosforo, un fratello per me.
Restavamo noi due soltanto, lui se ne stava sereno, aspettava insieme a me il destino che domani ci avrebbe diviso.  Io o lui. E' così che volevo prendere la vita, come arriva, e quando è il tuo tempo poter dire di avere capito la sua legge. E invece...
Un fuori programma. Se lo sono preso questo pomeriggio. Non so che fine abbia fatto, non ho sentito rumori, frullatori o spremiagrumi. Nulla, solo un po' di luce, sono andati dritti a lui. Non ne so più nulla.
E' per questo che mal sopporto l'ultima sera, è la solitudine. Che razza di nottata mi tocca passare.

Non sono preoccupato per la mia fine, intendiamoci, ero pronto fin dall'inizio, e poi già dalla serra si sentivano certe voci. Ma poi quando arriva il momento... è tutto diverso, ti vengono su i rimpianti, te li senti in ogni spicchio dell'anima. Ti accorgi che speravi in una tavola imbandita, magari un sarago al forno, ecco, o il bordo di un bicchiere da cocktail... Quella sì sarebbe stata una fine elegante, più adatta a me.
Ecco, avrei voluto vedere più cose, girare un po'.
E invece non so neanche bene com'è fatto questo frigo. Quando sono arrivato ho fatto appena in tempo ad adocchiare una bottiglia di orzata e delle olive, ed ero già dentro il cassetto, tutti uno addosso all'altro.
Avrei voluto muovermi di più, conoscere gente libera, scambiare idee, invece che pettegolezzi da aria viziata. E magari alla fine, senza più ripensamenti, addormentarmi come in un gran finale, un dolce di compleanno, farmi grattugiare la schiena e sentire spandere il mio profumo per le stanze.
Insomma, qualcosa di fragrante. Lasciare il segno. Aver detto la mia.
E invece così, in fondo a una tazza da colazione, stritolato da questa macchina impietosa che polverizza i grandi sogni.
E senza lo straccio di un amico, se non quelle odiose banane che non hanno mai visto un frigo dall'interno. Vorrei vedere loro, starsene qua dentro al buio, a crepare di freddo. Uno dei vecchi una volta mi ha raccontato di una che c'era finita per sbaglio. Era diventata nera in un pomeriggio.
Beh, comunque sempre meglio di quello che sta capitando alla pera del cassetto di fianco. La vedo attraverso il vetro, quando aprono la porta e qui entra un po' di luce, lo vedo giorno per giorno, è una cosa penosa. Ormai metà è da buttar via, e sta intaccando anche il resto.
Quella sì è una fine di merda.
Quanti ne ho visti. Un giorno un puntino verdognolo, "Niente di grave!" si dicono, "lo terrò sotto controllo..." Ma dentro lo sanno che qualcosa li morde, si sente l'odore della loro paura, del dolore, e della morte.

Le statistiche dicono che è più facile crepare schiacciati dalle ruote del camion del mercato che in una cucina.
Sarà, ma ai numeri non ci ho mai creduto. Io penso che diffondano queste notizie per contenere il panico da frigorifero. E che dire, i fatti mi danno ragione, il frigo è un posto pericoloso, lo sanno tutti, dove, più che vivere, si contano i giorni, statistiche o no.

Ebbene, addio odori e sapori, buoni e cattivi. Addio lampadina dei luminosi e brevissimi giorni. Addio eterne lugubri notti. Addio favoloso Sud mai conosciuto, che dicono percorso di raggi caldi e dorati.
Vi lascio il mio seme, nutro grandi speranze per lui. Sarebbe uno spreco saperlo in pattumiera, come dicono tanti, assieme alla mia pellaccia.

venerdì 4 marzo 2016

VECCHI


Che vecchi saremo noi?
Che vecchi orribili saremo. I vecchi che conosciamo adesso, in confronto a quello che saremo noi, sono angeli.
Noi saremo sempre solo l'ombra del prima, lo so, noi non saremo capaci di essere vecchi, noi ci accorgeremo allora che non siamo stati capaci neppure di essere giovani, qualcuno dirà che non ce l'hanno lasciato fare.
Noi ci accorgeremo presto che senza mamma o papà noi non sappiamo fare nulla, noi non sappiamo dove andare, come fare, noi abbiamo tutti quei dolori che non abbiamo curato.

Noi non ci troveremo bene da vecchi.
Noi saremo dei vecchi orrendi, dopo una vita di nervi spezzati dalle incertezze, un fisico compromesso dall'inquinamento, dai veleni del mercato, dopo una vita senza allegria, cosa vuoi che ti dica, è chiaro che forse non saremo mai neppure dei vecchi.

Che vecchi vuoi che saremo? Vecchi poveri, senza dignità, senza un risparmio. Vecchi che non sanno camminare, o sopportare il freddo. Vecchi pieni di rimpianti, con nulla da insegnare.
Noi che non ci ricordiamo niente, vuoi che allora ci ricorderemo di qualche storia da raccontare? Continueranno a parlare per noi "loro", fantomatici altri che consideriamo da sempre migliori, più forti, e che chissà come ci hanno fatto rinunciare a trasformare la vita. "Loro" sono quella rinuncia.
Quando avremo perso tutto, le campagne, le spiagge, le città, il cibo, i figli, il vino, gli amici, i genitori, le storie, e il compito di non lasciare indietro nessuno, e avremo gettato la spugna per sempre, allora saremo diventati i peggiori vecchi che la storia abbia mai avuto.



mercoledì 2 marzo 2016

ITALIANI


Gli italiani
signori eleganti
signori meno eleganti.
Gli italiani capitani coraggiosi
esploratori scienziati artisti,
soltanto occasionalmente fascisti.
Sì, ma partigiani.
Italiani la nostra Costituzione.
Italiani il miglior cinema al mondo!
Italiani bel tempo si vive piove si muore.
Italiani fantasia portami via.
Italiani bellezza.

Gli italiani.
Un popolo con un sacco di bei ricordi.