giovedì 15 settembre 2016

I CAMPEGGIATORI E LA CORSICA


La Corsica è divisa in partes tres.
E i campeggiatori con lei.

La Corsica famosa.
Sono le spiagge delle cartoline, i visitatori ci vanno pensando che ci devono andare.
Lì c’è il campeggiatore dell’ultima ora, che non significa improvvisato. Ha comprato tutto nuovo da Decathlon.
È un giapponese delle spiagge, il campeggio è un posto a buon prezzo dove lasciare la roba e tornare a dormire. La mattina lascia una tenda inespugnabile e ci rientra la sera. Tutti i giorni. Ogni sera guarda la cartina e conta i chilometri, presto si accorgerà che non è questione di contare.
Al quarto giorno è distrutto. Decide di passarlo al campo, ma è un’anima in pena, non sa dove mettersi, ha montato la tenda al sole, sgrida il figlio annoiato, perché sgocciola, perché mette i sassolini fuori posto.
Può, a seconda, lamentarsi dei bagni o lodarli: sono comunque il suo parametro di giudizio della qualità del campeggio. Quando torna dalla doccia sembra uscito da una spa.
Le prime sere cucina qualcosa sul fornello a gas, le altre si va al ristorante. Tiene pulite le ciabatte, in tenda non entra un granello di sabbia, la macchina la mette all’ombra.
Praticamente campeggia difendendosi dal campeggio.
La sua attrezzatura se vuoi ora la trovi su ebay.

La Corsica cattiva
È quella che ho vissuto a lungo, soffrendola e cercandola, un efficacissimo addestramento all’adattamento.
Pura natura, isolamento, silenzio. C’è bosco, ci sono i cinghiali, i tori, e i Corsi cattivi.
È difficile raggiungere le spiagge, con sterrati lunghi e sfiancanti, o sentieri confusi nella macchia minacciosa. Non esistono bar della spiaggia, se dimentichi l'acqua sei fottuto.
Sono spiagge inospitali, con un mare cristallino e spesso increspato, battute dal vento e addolcite dal profumo di elicriso portato delle dune assolate.
Sono zone di affezionati, non cambierebbero mai, hanno girato tanto e qui si sono fermati, perché qui stanno in pace, soli e remoti.
Il campeggiatore di qui è un tipo ginnico, fa vela, canoa, rafting, d’inverno è sempre in montagna, la doccia la fa fredda e veloce, subisce zanzare, vespe e cinghiali senza fare una piega. È un soldato, va solo nei campeggi ombrosi perché sa bene che l’unico vero nemico in tenda è il sole. Parla poco o niente coi vicini, e i vicini non parlano con lui.
Solitari, autarchici, organizzati ma essenziali, silenziosi quando montano e smontano. Ti alzi un mattino e sono scomparsi, agili, preparati, sportivi.

E poi c’è il mio posto segreto, lo sanno tutti ma è lo stesso un segreto, perché quando l’ho scoperto è stato come se me lo fossi inventato in un sogno. 
Di tutti, è l’unico posto che non ho ereditato dall’infanzia, eppure ci ho trovato, adulta, le mie cose di bambina zingara, una specie di paradiso perduto della memoria.
Qui ci trovi quei campeggiatori che non cercano niente, se non il posto che hanno attorno, sabbia e mare quanto basta.
Sono oziosi ma si danno da fare, bonificano il terreno, risparmiano l’acqua lavando i piatti, dedicano parte della loro vacanza a ingegnarsi per fabbricare utensili, ma non sentono il bisogno di costruire una fortezza.
Il campeggio non li affatica, li vivifica.
Hanno le torce la notte, perché la notte è buia, quando non c’è la luna. Sono pronti alla doccia fredda, ma spesso non la fanno.
Organizzano cacce al tesoro, insegnano ai figli le stelle, i venti, e a stare fuori dai piedi, ma i loro figli non si sa più di chi siano i figli, si confondono con i figli degli altri. Bambini e adulti fanno per lo più vite separate, ritrovandosi per i pasti, eventualmente.
Presto o tardi si amalgamano in una grande famiglia, prendono abitudini, si invitano e si vanno a trovare da una tenda all’altra, magari si portano la sedia, ché gli altri le hanno di numero, bevono, cantano, grigliano insieme.
Tutti sanno che stamattina qualcuno ha pescato un polipo. Allora vanno a pesca anche loro per fare cena insieme.
Qualcuno, mentre dormi la mattina presto, sta portando il cane a correre in spiaggia, così passa a prendere anche il tuo.
La notte vanno in spiaggia, ci mangiano, ci dormono, fanno il bagno all’alba quando l’acqua è piatta.
Si raccontano cose della loro vita. E alla fine, quando qualcuno parte, pensano che forse lo rivedranno l’anno prossimo, si scambiano il numero.
Campeggiatori e campeggio sono una cosa sola, loro lo amano, lo difendono, lo usano con amore e levità, e il campeggio protegge loro.
Loro in fondo sono a casa solo quando arrivano lì, e se un giorno vanno via tutti, lì è come se non ci fosse mai stato nessuno, perché quella è la terra che percorrono scalzi.


mercoledì 7 settembre 2016

PUNTATA 14


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TREDICI




Mi piacerebbe poter dire che è stata una cosa pulita, elegante, una specie di solenne ultimo atto liberatorio. Magari un cocktail preparato con acqua ragia, “Tieni caro, brindiamo...
Come quei personaggi del tenente Colombo, tutti ragionevoli, eleganti, freddi.

Ma non è andata così, nulla è stato pensato, messo a punto, l’ho annegato nella vasca da bagno e non so neppure come ci sia riuscita. I bambini di là dormivano. Quella sera la più piccola non voleva proprio saperne.
Erano ancora piccoli. 

E mentre lo annegavo non credevo, lo giuro, di ucciderlo. Pensavo “ora reagirà, riuscirà a reagire, ad avere la meglio”, ma invece non ce la faceva, era sorprendentemente arrendevole, e io ormai non sapevo fermarmi, tornare indietro e liberarlo. Era una stretta di ferro, che aveva scolpito entrambi in un monumento all’odio.


     Alcuni di noi, ai giardini, si erano persi. “Siamo tra adulti” sembravamo dirci guardandoci l’un l’altro negli occhi da lontano, attraverso le catene di un’altalena, ma eravamo ragazzi, dentro un recinto, allo sbando e ancora alla ricerca. Ci guardavamo desiderosi, annaspando, quelli di noi che erano diventati genitori così, senza un vero piano. E nelle case che ci aspettavano a sera non c’erano spiegazioni su che cosa fosse accaduto mentre diventavamo genitori, mogli e mariti, non c’erano dei perché.

Tutti senza lavoro, senza un “vero lavoro”. Ma neppure tanto interessati ad averlo, un lavoro, che ci avrebbe resi sicuramente infelici. Perché il lavoro non crea persone felici, ma soltanto persone indaffarate, che non possono occuparsi della propria infelicità, persone inventate, che dal lunedì al venerdì credono di essere qualcosa di più di corpi brutali, pensano qualcosa di sé.

Ai giardini, nel recinto, nell’orario dei bambini e dei genitori, andare a bere alla fontana, spingere un’altalena, questo non era pensare qualcosa di sé, inventarsi un qualcuno, non era come un lavoro, con il suo abito, la sua postazione, con i suoi orari e il suo stipendio mal pagato, non era nulla di più di un corpo brutale.
No, nessun genitore laggiù, solo personaggi incompleti, personaggi senza ruolo, e che da tempo si domandavano che fine avesse fatto il loro amore.
Smarriti, dentro il giardino, eravamo ombre. Le ombre di ciò che eravamo stati, o di ciò che avremmo voluto essere.

Dunque, se ciò che siete ha a che fare col vostro amore, ricordatevi che quando finirà il vostro amore, rimarranno due corpi.



FINE