lunedì 30 settembre 2019

Per l’ambiente a colpi di colpe


Quello che voglio dire è che poi, alla fine, io non riesco a sentirmi colpevole.

Bruciando praticamente in questo sacro fuoco ambientalista, tutti i momenti mi sento dire che io non sono disposta a cambiare il mio stile di vita. E che quindi tutto questo è anche colpa mia. No?
Ok. Mettiamo che sia vero che non voglio cambiare, mettiamo che sia vero che questo implica che sia colpa mia, e che sia vero che io non conoscessi già le mie colpe… Allora vediamo come cambiare questo stile di vita.

Dunque, premetto che io mangio la carne, ma io non mangio la carne soltanto perché mi piace, bensì anche perché nel turbinio frenetico del logorio della vita quotidiana nella città tentacolare anche detta giungla d’asfalto, di solito, ai pasti, io, in suddette circostanze frenetiche della logorante quotidianità, agguanto e azzanno qualunque cosa sia veloce da conquistare e rendere aggredibile dalle mie fauci.

È l’unica cosa che posso fare, e non so come fare a cambiarla. Non è che non voglia, proprio non lo so fare e non ho neppure il tempo di imparare a farlo, perché nella mia vita forsennata tentacolare c’è spazio per poche cose oltre a produrre reddito, mangiare, accudire prole, schiantarsi di stanchezza nel letto manco rifatto. Per carità, ognuno ha le sue priorità, io ad esempio adesso sto qui a scrivere invece di preparare la cena o compilare un elenco di marche da boicottare, probabilmente è una priorità tutta distorta, ma non è che mi puoi rifare tutta da capo.

Non sto cercando di deresponsabilizzarmi, non mi piace affatto inquinare, davvero, ma non conosco un altro modo di vivere, o di sopravvivere.
E poi a me non fanno niente bene le colpe, per colpa delle colpe ho capitalizzato almeno 500 sedute dallo psicanalista, totalizzando così almeno 1000 viaggi tra andate e ritorni in auto, emettendo perciò gas serra.

Sto dicendo che ci sono cose di cui noi nati nella parte di mondo fortunata-privilegiata-predatrice cinica-superficiale-consumistica-selvaggiocapitalistica-compulsiva-narcisistica e, non dimentichiamolo, dell’apparire, ci sono cose di cui non siamo strettamente “colpevoli”.
Ne siamo fautori forse.
Abbiamo, da bravi animaletti, risposto agli stimoli, e imparato, inconsapevoli, che ci piace d’inverno entrare in una casa calda e d’estate in un cinema fresco, che con la macchina sotto il culo facciamo molte più cose, nel logorio della giungla frenetica d’asfalto, di quante riusciremmo a farne coi mezzi, a piedi, o con la bici.
Perché fare cose è per noi sopravvivenza, per noi è "fare o morte".

La bici. Io l’ho usata tanto la bici nella giungla tentacolare d’asfalto, era il mio orgoglio fare tutto con la bici, vento e neve, figlia piccola... Poi ho preso il cane, e ci ho provato, con la bici, col cane, con la figlia, che nel frattempo era diventata meno piccola, ma per strada mi urlavano pazza e io sono influenzabile in modo paradossale. E ho preso una macchina, è minuscola, ma sì, inquina. Avere il cane però dovrebbe essere un’attenuante perché questo fa di me un’amante degli animali e, per sineddoche, della natura. Alla fine mi ci sono anche affezionata a ‘sto povero cane d’asfalto.
Questo per dire, anzi confessare, che uso la macchina, che ne ho bisogno, che non so come farei senza macchina nella mia vita frenetica logorata.

E c’è questa piaga della plastica. Io la divido, la riciclo, la sminuzzo e la schiaccio nel modo che mi hanno spiegato, ma quello che acquisto è là dentro, a volte in confezioni inespugnabili, e quello che acquisto non è sempre inutile. Cerco di essere parca, da tempi non sospetti, già negli anni ‘80 dividevo i fazzoletti di carta a metà per non sprecare la suddetta carta. Ma più invecchio e più le frustrazioni mi abbrutiscono e lo ammetto, a volte voglio degli oggetti per alleggerire le frustrazioni.
Tra l’altro le frustrazioni mi mandano dritta dallo psicologo, altra benzina nell’aere.
Ma sono morigerata, davvero, chiedete a chiunque, a volte non tiro neanche l’acqua, pochissime lavatrici, biasimo assoluto dell’aria condizionata nella giungla d’asfalto. Uso la quantità di carta igienica strettamente necessaria, quando vado al mare sono praticamente a impatto zero, la mia casa è un monumento al riutilizzo, tengo le batterie scariche, le lampadine fulminate, tutta quell’elettronica scaduta, per poi portarla nei luoghi atti allo smaltimento…

C’è questa plastica, dicevamo, i libri a scuola li vogliono foderati, se gli metti un succo nel vetro guai, è vietatissimo portare del vetro a scuola, potrebbe accadere una tragedia immane. Faccio la differenziata in modo maniacale da anni, divido gli imballaggi nelle loro componenti... “Però gli imballaggi!” mi direte. Lo so, lo so, ma non ho tempo, nel logorio d’asfalto, per recarmi con il mio flacone a farmelo riempire di detersivo di canapa, non ho tempo e non riesco a ricordarmi il flacone quando esco di casa, nel turbinio.
Io ci ho provato a cambiare, lo giuro, dovete credermi.

Io poi mi porto addosso questa macchia del cane, che pure essendo amante della natura, non è a impatto zero perché la cacca va raccolta coi sacchetti di plastica. Ho fatto un calcolo: se comprassi quelli biodegradabili, quelli che sono cari e molto porosi e ti lasciano le mani che puzzano di merda, ebbene, ipotizzando che il mio cane viva altri 10 anni, quando la malabestia stirerà le zampe avrò speso circa 700 euro di più che comprando quelli normali. Allora la domanda è: 700 euro è di più o di meno del costo ecologico, tradotto in denaro, della plastica prodotta per raccogliere gli scarti del mio cane puzzone? È di più o di meno di quanto potrebbe costare riparare ecologicamente al danno?
E se con quei 700 euro io mi pagassi dieci sedute extra dallo psicanalista, che mi fanno tanto bene all’animuccia mia bella liberandomi delle costose e inquinanti colpe? E magari finisce che mi compro meno cose perché sono più serena e non mi devo assolutamente prontamente e impellentemente consolare con un microventilatore a manovella tutto in plastica?
Quindi abbiamo uno scatolone di sottilissimi sacchettini di plastica disperso in mare in dieci anni contro un miniventilatore a manovella. Forse se ci metto sul piatto che alle sedute extra potrei andarci con la metropolitana… certo che i biglietti della metropolitana, quelli di carta… Chissà quanti se ne producono tutti i giorni?
Ok, è vero, in realtà lo si fa per diffondere una cultura. Ma se poi quello che produce i sacchetti biodegradabili vende armi?
È come il gioco delle tre carte, non se ne viene a capo. È lo stesso con l’alimentazione.

L’alimentazione etica. La famosa carne che, se messa in tavola ben cotta o al sangue, sta distruggendo il pianeta.
Dunque, apriamo questo capitolo spaventoso.
Nel mio personale e solitario dramma serale del Che cosa cucino, di sano ma nutriente, di etico, e che piaccia ai più? mi dicono quinoa. Gesù, ma come diavolo è fatta codesta quinoa? Al supermercato (io è lì che faccio la spesa, nella frenetica città tentacolare) come riconoscerla? Come accidenti si cucinerà questa quinoa? Ma soprattutto, è vero che tutto il trambusto per la quinoa di noi privilegiati sfruttatori che ci siamo all’improvviso accorti della quinoa, sta impoverendo in modo tragico le popolazioni della Bolivia e del Perù provocando drammi sociali inimmaginabili? È vero che gli anacardi li chiamano “insanguinati” perché le indiane passano almeno 12 ore consecutive al giorno a romperne i durissimi gusci soffrendo come bestie e guai a lamentarsi perché sennò son punizioni anche letali? E gli avocado non stanno forse devastando il sistema idrogeologico di qualche zona centroamericana che adesso non sa più dove troverà l’acqua per le città? O forse erano gli avocado ad essere insanguinati? Che cazzo. Le tre carte.

Io poi ho un grosso problema con l’alimentazione sana, lo riconosco, non mi piace, dirò di più, detesto persino la frutta, più o meno tutta a parte le banane che probabilmente non sono proprio frutta. Una volta ogni sei mesi mi accorgo del banco frutta e allora compro 4 mele, misteriose sfere che decorano il mio tavolo indifferenti e impassibili per i sei mesi seguenti. Poi, uno spicchio alla figlia e uno al cane, mezza mela ogni tanto la facciamo fuori.
Sono una criminale, lo so, ma pietà, prendetemi come una malata incapace a trangugiare una cosa fredda, tendenzialmente insapore, solida, ma che t’inonda la bocca d'acqua.
Vai dai contadini, mi si dirà, ma davvero, credetemi, non mi piace lo stesso.
Però quando nel turbinio della vita d’asfalto mi sento abbastanza in colpa per lo scioglimento dei ghiacciai, degli uccelli che scompaiono, delle popolazioni schiave, per punirmi io mangio qualche acino d’uva. Ma scommetto che quella senza semi non vale.

L’altro punto su cui devo fare outing è il riscaldamento, non quello globale, quello di casa mia, e qua sono davvero tra gli imperdonabili. Ho freddo, non c’è altro modo di dirlo, tanto freddo. Mi copro, come mi copro io non si copre nessuno, metto anche la calzamaglia sotto i pantaloni, ma niente, appena il termostato va sotto i 22 io ho i geloni. Lavoro a casa, seduta a un pc, non uso calorie neppure per fare ciao con la manina a un collega, nel mio isolamento, che è comunque turbinante d’asfalto. E arriva un punto che non riesco a usare bene le dita sulla tastiera per la rigidità. Dicono sia anche la stanchezza, dormo poco, sono i sensi di colpa. Quindi se voi mi colpevolizzate, io produco clorofluorocarburi. Io chiedo scusa sinceramente a tutti, proverò con 21 e mezzo, ma non so se ce la faccio.
Forse, se facessi un po’ di sport, attiverei la circolazione o qualcosa di altrettanto sconosciuto che è nel mio organismo e soffrirei di meno il freddo, ma il tapis roulant richiede elettricità, che va prodotta emettendo gas serra. E se vado al parco a correre, che è pure più bello e fa tanto America? E così ci porto pure il cane animalista classe A+. Ma come ci vado? Col tram? A piedi? Non ho tempo, nella giungla frenetica, arrivata là dovrei già tornare indietro, quindi ci vado con la macchina. E allora tanto vale che riscaldi la casa.
E comunque il mio ginocchio sinistro non sta bene, e se devo fare un’altra ecografia perché si infiamma di nuovo, è altra elettricità che se ne va, oltre al ricorso, in fondo evitabile, alla sanità pubblica. Che stampa un sacco di fogliacci, tra l’altro.

Queste non sono opinioni, me ne rendo conto, e io non voglio scaricarmi la coscienza, se mai ne ho una, però c’è un punto d’ombra che non riesco a leggere chiaramente in questo fervore ambientalista. Credo, l’ho detto, che riguardi il mio fastidio per le colpevolizzazioni.

E c’è un’altra cosa, ma non so se dirla, non so se la so dire e se mi verrà perdonata. Credo molto profondamente, davvero davvero convintamente, che siamo una specie quasi come le altre, che ha creato il suo destino, va detto, fortunato completamente a casaccio e preda di una sola manciata di istinti: perpetuare la specie, limitare il dolore dei bisogni, soddisfare i desideri. Credo che come tutte le specie, siamo di passaggio, e che come tutte le specie, beh, abbiamo le nostre vittime e cruente ingiustizie. E non mi fa piacere tutto il dolore del mondo, e tutta la nostalgia dell’essere di passaggio, ma temo sia la natura. Siamo prodotti della natura e la natura ci ha fatti così, meno morali di quando sognassimo. La natura comunque di noi se ne frega, e non sarà il declinare delle condizioni che rendono possibile la vita umana a farla scomparire, non è detto neppure che non ci adatteremo. Certo l’evoluzione richiede un tributo.

Comunque, gente d’asfalto, contate su di me, farò del mio meglio per sopravvivere e per far sopravvivere. Io per me metterei leggi durissime e spietate in favore dell’ambiente, perché purtroppo è vero che senza la politica l’ambientalismo è un argomento per le amiche di yoga.
Io nel mio piccolo non bevo certo l’acqua in bottiglia. Posso anche andare sulla fiducia e comprare quei maledetti costosissimi e porosi sacchetti biodegradabili per il cane triste. 

Solo non so quanto sia furbo giocare ai Savonarola tra di noi gente d’asfalto.
Perché quando tutto questo, Greta compresa, verrà digerito dal grande digestore che tutto digerisce e tutto rende organico, saremo nello stesso smog del disgelo degli oceani di plastica e isole di spazzatura del pianeta surriscaldato, ma con un po’ più di odio.

giovedì 12 settembre 2019

BUON COMPLEANNO




Lascia che ti misuri
l’altezza, il peso, l’amore.
Dieci anni davvero? Eccoti lì, dieci anni.

Buon compleanno bambina,
buon compleanno regina
danzatrice cantante pittrice gattara,
addestratrice
di cani, lumache, paguri, fantasmi.

Non l’avevo capito,
quando mi guardavi con gli occhi notturni
più fondi del tempo,
che la tua testa avrebbe toccato il mio mento
e ci saremmo guardate negli occhi così
come due
non più una.
Auguri a te
che non vuoi parole ma cose
da fare, vedere, cose da giocare.

Vorrei che fosse tutto lì,
un balletto
tra i miei e i tuoi dieci anni.
Dieci anni bambina,
che vuoi per regalo? la bici? lo zaino? il vestito che ami?
Il mio potere si ferma qui,
non ti posso regalare
le promesse che ti ho fatto:
andrà tutto bene, sempre.
Perdona
una madre che non lo sa fare.

Tieni, prendi tutto il mio cuore
e poi lascialo giù quando devi volare.