lunedì 25 aprile 2016

LE DIMISSIONI


È arrivato il momento. E' una strana emozione.
Come posso iniziare? Iniziare è importante.
Gentile...
Non è affatto gentile, tutto si può dire, eccetto che sia gentile uno così.
Vediamo internet, in internet c'è tutto.

Vi consigliamo, quali che siano le motivazioni che vi hanno spinto a fare questa scelta, di non inimicarvi il vecchio datore di lavoro approfittando di questo momento per sfogarvi di eventuali torti o ingiustizie subite, ma di essere superiori e congedarvi con signorilità.”

Signorilità. È la parola chiave. Signorilità, freddezza, e una nobile superiorità.
Massì, mettiamo gentile.
Gentile signore, rassegno le mie dimissioni.
Ecco.
Un foglio bianco.

Se fossi Fantozzi lo scriverei in cielo: “Il megadirettore galattico è uno stronzo.”
Ma qui c'è di mezzo la paura. La paura è come un polline che ti fa tossire e non ti lascia parlare; ne ha uccisi tanti la paura. Un'arma di distruzione di massa la paura.
Ma se solo per un attimo io non avessi paura, se per un secondo la paura si dimenticasse di me.
Intanto toglierei il Gentile, e anche il Signor, perché i signori sono altri.

Il fatto è che in questi anni mi avete privato di molti piaceri, primo fra tutti svegliarmi con calma la mattina, fare colazione come Dio comanda.
Perciò, Amministratore delegato, mi levo lo sfizio di darti del tu, come a un ragazzo, come a un garzone.

Tu, e tutti i tuoi simili, adesso mi ascoltate. Lo dico anche nel vostro interesse.
Perché per quanto mi sforzi di mettermi nei vostri panni, non mi riesce proprio di capire a cosa è servita questa strage.
Mi chiedo se vi rendiate conto di quanto noi vi siamo stati utili.

Non parlo solo con te, Amministratore, ma con tutti i tuoi, quelli di cui ti circondi, e senza i quali persino tu ti accorgeresti del poveraccio che sei.
Parlo con voi, piccoli e grandi capi, servitori di corte, kapò.

Oh, lo so che adesso lo negate, ma mi ricordo bene di quando volevate fare di me uno dei vostri. Quando mi dicevate con chi dovevo o non dovevo prendere il caffè.
Ma voi non vi esprimete così, no... voi dite cose come “Non è il caso”, perché non siete gente che si sporca le mani. Con voi un ordine sembra un consiglio. È la natura mafiosa del comando.
Voi vi limitate a sorridere, e chiedere: “Vai a mangiare con quelli?”
“Quelli”, che chiamate sfigati, che non vi sembrano uomini, ma maiali. “Meschini”, dicevate, “che mollano la penna alle cinque.”
Alle cinque, quando il sole se n'è andato e la giornata è finita, polverizzata.

Meschini siete voi, che vi domandavate perché ci fosse tanta depressione in azienda.
Incapaci di apprendere una cosa che si impara da bambini: che bisogna prima dare, e poi, casomai, avere.
Così vi siete riempiti la bocca di frasi fasulle: “Bisogna vivere l'azienda in modo sportivo!” “Vi vorremmo partecipi, intraprendenti!” “Ci preoccupa molto vedere alla sera gli uffici tutti vuoti.”
Come se il vostro non fosse un furto, come se la nostra vita ci appartenesse ancora, dopo aver firmato con voi.
“La produzione!” starnazzavate maccheronici.
Noi, per produrre, siamo stati inchiodati alle sedie, perché voi eravate troppo occupati a parlare.

Me lo ricordo bene quello che dicevate per avermi dalla vostra parte:
“Non vorrai finire come loro!” scherzavate con me, dandomi di gomito.

E io lì fui presa da ben altro terrore: quello di finire come voi.
E fui subito contro di voi, tra quelli che, nonostante voi, producevano per voi.

Ma statevi bene attenti, ché la vostra sicurezza è artefatta. Statevi attenti che non è per sempre, ché se anche la vostra sedia non dovesse mai tremare, non crediate di potervi mettere al riparo dalla coscienza, perché non siete voi i padroni della vostra coscienza, ma lo sono coloro che vi osservano compiere i vostri misfatti, e che vi giudicano per essi.

Ecco, amministratore delegato, capo del personale, capo reparto, capoufficio, gentili miserie, eccovi le dimissioni di un soldato semplice, ve le dico con le parole di Dino Campana, il poeta pazzo che in poche parole mi restituisce la dignità che mi ha tolto il vostro lurido stipendio.

CI FU UN TEMPO PRIMA DI PRENDERE COSCIENZA DELLA CIVILTA' ITALIANA CONTEMPORANEA, CHE IO POTEVO SCHERZARE.
ORA QUESTA CIVILTA' MI HA MESSO ADDOSSO UNA SERIETA' TERRIBILE.
PERCIO' IO SONO ANCHE TRAGICO E MORALE.

Dino Campana      




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