domenica 17 settembre 2017

AL FUNERALE


Conosco bene i funerali, ci vado spesso, pare che si muore parecchio. E poi non ci vuole l’invito.
La lunga macchina col portellone aperto, la foto fuori, gli occhiali scuri, la gente che guarda. I baci.
“Stava ancora bene questa primavera.”
“La conoscevo da vent’anni.”
“Troppo giovane.”
“Ecco la mamma, è ancora viva...”
“Povero cagnolino, chi se ne occuperà adesso?”
E l’immancabile “Chi l’avrebbe detto”. Ha ragione questa gente, nessuno l’avrebbe detto.

I fiori, le pompe funebri in disparte, fumando sigarette. Il barbone, quello che sta davanti al Carrefour Express, ha lunghe lacrime. Lo avvicino, è tutto solo, guarda la scena da sotto la scalinata, gli dò la mano, è inconsolabile.

E poi nel quartiere, per la strada o al quinto piano si parla delle tragedie degli ultimi anni, infarti, malattie misteriose, tumori.
“A ottobre sono due anni.” Lo dice con un sorriso che non è accettazione, ha più a che fare con un conto aperto, una vendetta che aspetta.
“Che sta succedendo in questa via?”
“Ma in qualcosa bisogna credere.”
“E tua mamma?”
“Una vita dopo questa ci deve essere.”
“Mah, non conosco la vita senza corpo.”
“Saremo tutti nudi.”
“Buongiorno architetto.”
“Forse come spirito, senza individuo, senza io.”
“E quel neo te lo sei fatto vedere?”
“Ma non per tutti può essere lo stesso, chi ha fatto del male non può andare con gli altri.”
“E il perdono di Dio? La misericordia?”
“Misericordia sì, ma non per tutto.”

Anche il prete ha parlato di paradiso, ha messo la defunta in questo luogo dove tutti stanno benissimo e non vedono l’ora di arrivare. Sarà lì forse a dipingere diceva, con colori che ha avuto il candore di definire “bellissimi”. In paradiso, lieta, "lassù", indicando col dito.

A quale piano padre?

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