mercoledì 7 dicembre 2016

MANCO UN GRAZIE?


Sono stata dal medico, e nell'entrare in ambulatorio ho temuto che mi leggesse in faccia il mio NO, e per questo mi prescrivesse della cicuta invece dell'antinfiammatorio. Per lo stesso motivo, non credo che andrò a prendere la pizza per un po', non manderò mia figlia a scuola fino a carnevale, non sarò invitata ai cenoni di capodanno.

Se mi piace Salvini? Se voto come Brunetta? Ma io manco so che faccia abbiano Salvini e Brunetta. Se loro votano come me, beh, o sono diventati compagni, o come sempre inseguono un interesse.
Io ho altri interessi, e non mi faccio ricattare.

Io il mio No lo conosco bene, e non mi importa se i peggiori ci mettono sopra il loro cappello, se mi venite a dire che ho personalizzato il voto contro Renzi, che c'è Grillo dietro l'angolo, che ho mandato a monte il vostro Rinascimento.
Posso rispondere a ciascuna di queste cose.
Ma il mio punto è un altro.

NO, la Costituzione non si tocca, e se si tocca lo si fa in modo condiviso, non per iniziativa di un governo.
Sono romantica nei confronti della Costituzione italiana, ma non per romanticismo ho votato No, e non per romanticismo scrivo queste righe.

In realtà non scriverò nulla che non si possa tranquillamente trovare su un banalissimo manuale di educazione civica.

Mi stupisco piuttosto di voi, che odiavate Berlusconi, ma lasciate che Renzi gli metta a punto il programma, che temevate colpi di mano delle destre, ma li lasciate compiere ad un altro solo perché il suo volto e il suo stile sono più simili ai vostri.

Detesto la società che mi si è costruita intorno nei decenni che stanno trascorrendo, non ho molta fiducia in un futuro migliore, ma per malattia o per amore io non posso togliermi di dosso alcune cose: la fede (nell'uomo, che nella mia religione è Dio), e la rabbia.

E poche cose mi fanno più arrabbiare di chi tocca la Costituzione dicendo “Tranquilli, non è niente, questione di virgole...”
Poche cose mi fanno più arrabbiare di una sanità che si sbriciola, di una scuola vuota, nozionistica, stupida, di lavoratori schiavi, senza dignità, senza il senso di contribuire a qualcosa (il senso, non l'illusione), di un popolo di egoisti e narcisistici incompetenti.
Poche cose mi fanno più rabbia dell'arroganza del potere.
Ma forse niente mi fa arrabbiare più del paternalismo.

Perciò ecco l'argomento più paternalistico che ho sentito in giro: la “governabilità”.
È praticamente da sempre che la governabilità mi perseguita come un incubo.

Ho un ricordo in proposito, indelebile: il mio primo voto, quando perdemmo il nobilissimo proporzionale (che si poteva correggere, e le proposte c'erano).
Votammo No in 10 o 12 (la maggior parte di questi li conosco), fu una ferita che mai si rimarginò. Ogni volta che vado a votare, io mi sento quella ferita che si riapre.

Posso dire che siamo un paese diviso fin dal referendum monarchia-repubblica? Io non c'ero, sia chiaro, ma so che vincemmo per un soffio.

Questo della divisione è un problema genetico, un problema che non risolvi mettendo a tacere metà della popolazione in nome di una cosa orribile come la governabilità.

"Governabilità" è come tagliare una mela in quattro e buttarne via un pezzo perché non si è capaci di dividerla in tre.

Se una cosa è ingovernabile avrà i suoi bei motivi.

Ed ecco la pars costruens. Auspico una divisione longitudinale dell'Italia a metà: da un lato i reazionari, capitalisti e liberisti selvaggi, dall'altro i rivoluzionari che discutono cercando di capirsi, in mezzo i moderati.
In pratica una divisione tra buoni e cattivi, con in mezzo gli sciocchi, gli opportunisti, i pigri di cervello, che vanno un po' di qua e un po' di là, doppia cittadinanza, ma senza poter votare né qui né lì, in punizione.

Oppure, ecco, io vorrei che il paese fosse rappresentato, diviso, sciocco, razzista, ma rappresentato.
E preferisco cento nemici eletti, contro cui battersi, ma specchio del paese, a un solo Gesù Cristo che dirige il traffico con manipolazioni alle regole, piccole scorrettezze, molta ipocrisia e con paternalismo, togliendomi la libertà di pensare e di scegliere.
Perché a quella si rinuncia una volta e poi per sempre.

Io non voglio andarmene in giro con lo stigma del No, non voglio sentirmi odiata per avere esercitato la mia libertà, guai a voi per quest’odio, perché non vi rende diversi da coloro che tanto temete.

No è quella parola che serve a fermare la tazza che cade. No lo dico quando mi arriva una cattiva notizia, lo penso quando so che ho di fronte la strada sbagliata, lo grido quando mi sta arrivando in faccia un treno di merda.
E quel No spesso non mi salva, perché la frana è oltre il punto di non ritorno, ma è la mia parola dentro, e se in quell'istante potessi farla diventare di pietra, lo farei.
Il NO salva dalla resa.

Ci si vede per un brindisi sull'Appennino.




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