lunedì 28 novembre 2016

PROMESSE


C’è questo posto che frequento, il parco dei cani. Un grande spazio tra una porta romana e una radura di merde e piccioni.
Oggi è soprattutto fango. Libero il cane.
Da lontano, scomparsa dentro il canalone fatto di erbaccia e resti sparsi di rovine romane, vedo e non vedo mia figlia, rigorosamente unica presenza infantile di questo spazio occupato per metà da sderenati che qui hanno montato le igloo per ripararsi, drogarsi e abitare, e per metà da cani corridori e dai loro padroni verticali.

Unica bimba, appare e scompare, piccola figura divorata di grandezze vuote in cui di rado un bimbo urbano è immerso.
Ti guardo, quaranta minuti di gioco perduta nella tua fantasia animata, di gesti, di voci che da qui solo immagino pronunciare battute dal tuo copione di drammi; impugni qualcosa, cerchi il niente nel niente.
Ti guardo, ti ammiro, unica bimba, che sono le due e mezza e non hai ancora pranzato, mentre a me mi ha lasciato una birra un tizio che ha detto Non la finisco e non voglio sprecarla, ti va? Certo che mi va amico.
Ed è un miracolo che nel frigo ci aspetti un pranzo vero.

Il cane corre nelle pozzanghere. Vacci anche tu bambina, mentre non vedo, schizza quell'infimo raggio di mondo. Penso che siamo qui a rendervi infelici bambini, cani.
Guardo te, movimentata, sarai qualcosa tipo miss gambe al liceo. Farai il liceo? O scapperai prima?
Che futuro ti ho dato? Che cosa ti avevo promesso?
Parlotti e canticchi, all’improvviso spalanchi le braccia e voli, le corse su e giù per il piccolo canyon disegnano una grotta per i tuoi personaggi.
Un padrone lancia la palla al suo cane, palla missione di vita.

Eccoci qui.
In questo posto vuoto, spesso, mi vedo da lontano, vedo queste mie domeniche famigliari fatte di me e di te bambina.
Questa mattina abbiamo tagliato i capelli allo zio, che non è tuo zio per il vero, ma io non faccio che dirti che lui è speciale, di fidarti sempre di lui più che di chiunque, che lui è diverso.
Questa è la tua famiglia, questo è ciò che ho costruito per te, un’architettura imprecisa di liane più che di scale, e dentro a questo disegno indefinito a noi ci passano le giornate: non ci organizziamo molto, hai una madre senza macchina e con la schiena di vetro, non hai fratelli o sorelle, però hai un cane, e non è poco.

Questa nostra vita fa acqua da tutte le parti, lo ammetto, ma c’è sempre un momento in cui la tua mano entra nella mia, e ci facciamo invincibili.
Ho pensato di potertela tessere una famiglia intorno, ma non posso, questo è il tuo mondo, persone che vanno e vengono, ci sono io, ferma per te, dovrà bastarti.

Hai vissuto come promesse le possibilità. Ebbene, va fatto.
Doveva andare diversamente, non so come spiegartelo, non so che dire, solo che non è andata come pensavo.
Ma ti ammiro bambina, perché resisti e fruttifichi su questo, sei la pianta che resiste alla siccità, il respiro dopo l’apnea.
Tu sarai diversa figlia, lo vedo io, lo vede il nostro amico, lo sa chi ti conosce.

In questo parco trasparente io mi misuro, qui non ci si aggrappa che all’aria, e l’unico spazio verticale a cui appigliarsi è un pezzo trascurabile di storia, qui non c’è un oggetto a cui chiedere di fingersi risposta, questo posto non ha nome.
La misura resta a terra, ogni volta: è la nostra solitudine.
Fanne tesoro, conoscila, amala e fatti torturare per combatterla, che mai ti vinca.

Non ci sono cattivi in questa storia, non papà, non mamma, né le assenze che vedi. Solo che per noi la vita è questo parco, non bello, non brutto, prosaico, con la porta romana, che ci ricorda da dove veniamo, e gli emarginati al di là di essa, anche loro ci ricordano qualcosa, e sparuti cani e grandi intervalli di terra tra l’erba, il canyon dentro cui scomparire per immaginare, e rifiuti e radi fiori da raccogliere.
Stare qui, passare di qui, per noi la vita è questo spazio da riempire, le promesse non sono che semi, e noi continuiamo a piantare.

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