martedì 5 novembre 2019

APOTEOSI





Avanti, chi non l'ha mai fatto di immaginarsi il proprio funerale?

Il posto.
Non ho nulla in contrario con il costume di utilizzare le chiese in caso di morte, le chiese sono belle e mistiche. Perciò va bene una chiesa, bella, grande, magari medievale, meglio se paleocristiana, fondata su un tempio antico, con enormi spazi per piangere.
Ma niente messa. Solo la liturgia laica del rimpianto, casomai l'odore dell'incenso, così pagano.
Non voglio un altro Gesù al mio funerale, Gesù quel giorno lo faccio io.

Se poi volete un prete, uno sciamano, un officiante qualsiasi, che almeno sia un tipo solenne, senza consolazione. Sappia, lui o lei, che ogni religione è per me un affascinante, quanto ridondante, pezzo di teatro.
Perciò, se venisse fuori che a queste condizioni una chiesa non ce la danno, allora si trovi un posto grande, perché sarete tanti.

La musica. Fate cantare un coro di voci bianche. Un coro di uomini invece canterà Angelita di Anzio dei Marcelos Ferial. Se, senza smettere di piangere, qualcuno non potesse trattenersi dall'unirsi al coro, lo faccia in maniera intonata.

Si pianga, si pianga pure molto. Dal fondo della chiesa, dalle prime file, da quelli che fumano fuori, con gli occhiali da sole, da tutti si liberi un pianto delicato, di suoni bassi, diffuso e limpido. I singhiozzi siano appesi all'aria, uno ogni tanto, a ricordare senza coprire, a punteggiare l'armonia del mio funerale.

Si leggano poesie: il Prometeo di Goethe, La sigaretta di Laforgue, la traduzione che dice “quanto a quellaltro, bubbole". Altre potete sceglierne, ma mi raccomando, niente robaccia alla Neruda. Eventualmente meglio la prosa, ad esempio la pagina in cui Humbert Humbert si accorge dell'assenza della voce di Lolita dal coro di voci di bambine: “e allora capii...” e bla bla bla, un certo passaggio di Salinger su come dormono i bambini, il finale dell'isola di Arturo, qualche delirio del Cyrano…

Una mia foto sarà il punto di fuga, la più retorica che trovate, usate photoshop, fatemi ineffabilmente bella ma non solo, la mia immagine dovrà essere tragicamente legata ai due mondi, mostrare la vita e indicare la morte, sfuggire in un altrove incomprensibile. Si dovrà vedere la guaritrice che è dovuta morire per indicarvi la via.

Nel nutrito settore fidanzati vorrei sapere mutile quelle vite, sentire il crepitio dei pezzi di cuore che appassiscono.
Il mio amore invece sarà in prima fila, sostenuto dai cari, manifestamente disperato, di quel dolore del pentimento e del rimorso, in cui vivrà in eterno perché egli è un uomo, e avrà di certo fatto mancare qualcosa. Assuma perciò tutto il compito del vedovo inconsolabile.

Si dicano di me parole, le si usino come vanno usate, anche per mentire casomai, che non si dica male, o guai, vi perseguiterò per gli anni che vi restano. Che si parli di me come di una spia di luce nell'oscurità. Irripetibile, unico, insostituibile pezzo di carne.
Piuttosto, se non sapete scrivere, leggete roba mia o di altri.

La mia bara la porteranno l'amico, l'amore, il fratello… il quarto va trovato. Si faccia avanti una schiera di pretendenti al quarto posto.
E così vi si straccerà il cuore, al vederla uscire claudicante, portata senza perizia ma solo con muscoli e nervi, portata come un dono. Vi regalo la mia morte.

E infine sia sepoltura. Voglio una lapide, l'epitaffio sarà ancora Goethe, questa volta dal Faust: E se nel dolore l'uomo ammutolisce, un Dio a me ha concesso di dire quanto soffro.
Mettetemi con loro, gli antenati, oppure create un luogo in cui andremo tutti, cari amici. Ma voglio un cimitero dove portare fiori e inginocchiarsi a piangere, non la mensola di un camino.
Ci sarà quel rumore di pietra, di cazzuola per la calce, assisterete ad ogni movimento.
Sarete increduli ma non di sasso, vi sto guardando uno per uno e vi saluto con molto rammarico.

Infine sappiate che se invece vorrete andare avanti voi, io scriverò per voi belle parole, tali che voi non sareste mai in grado di scrivere per me, quindi forse conviene a tutti.
Io vi seppellisco volentieri tutti quanti, ché di tanto protagonismo non ho fretta.

RIP






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