venerdì 27 aprile 2018

LA MAESTRA MI PIACCHIAVA





La mia maestra menava sodo, credo che mi abbia guastato un po’ la festa durante quegli anni di scuola, che mi abbia tolto un po’ di allegria.
Anche il dentista non era un simpaticone, non faceva l’anestesia, per dirne una. Ti guardava morale, come a dire “Non avrai mica paura?” Eh no, se me lo chiedi così vuol dire che no, paura non si può avere.

La maestra ce l’aveva soprattutto con Salvatore e con Mauro, che sono ovviamente pseudonimi, ma io li ricordo bene. Salvatore aveva una dozzina di fratelli, una madre sempre incinta e qualche volta un occhio nero.
Mauro aveva gli occhiali spessi, un’aria venuta male, e non so che altro. Loro le prendevano di santa ragione, sotto i nostri occhi oppure fuori della classe, mentre noi ascoltavamo i rumori. Scuoteva per i capelli il tuo vicino di banco con una furia inusitata urlando “Ma diiii!!!” mentre tu speravi che non toccasse mai a te.

Sono stata una bambina diligente, timida, remissiva. Probabilmente è stato per sopravvivenza. Solo a guardarmi in faccia mi davi un bel voto.

Poi c’è stato il liceo. La scelta del classico seguiva l’innamoramento per i poeti, ma non credo che mi piacesse poi tanto studiare, imparare sì, allo spasmo, ma studiare no, eppure passavo tutte quelle ore seduta con i libri davanti fantasticando d’altro e senza capire granché di quello che c’era scritto.
Non sapevo nulla di nulla, nulla di me e del mondo.
Ma ho avuto fortuna e ho incontrato qualche buon maestro che ha potuto seminare nel mio molliccio.

All’università ho perso un sacco di tempo senza capire che quel tempo e quelle possibilità non sarebbero tornati. Ma qualche piccolo seme cominciava a germogliare.

Oggi so una minima parte di quello che ho studiato nella mia vita. Mi costa ancora molta fatica leggere, se andassi a scuola oggi avrei con me una bella certificazione di dislessia e una di disturbo dell’attenzione, non ho dubbi.

Quindi è solo per una serie di fortunati casi che oggi non passa giorno senza che mi riecheggi nella mente qualche verso di poeta, senza che mi faccia una domanda o due, o mi venga di farne ad altri, senza che un’idea provi a fare breccia, che impari qualcosa di nuovo, senza che faccia Ohhh, come i bambini di Povia (o erano piccioni?)

Ma mi è toccato sentirmi spesso a disagio, fare delle gran figure di merda, stare in giostra di continuo attraverso incontri e con mille sconvolgimenti, faticare insomma per recuperare a mio modo quello che mi era sfuggito per colpa della maestra, del dentista, delle mie fragilità non riconosciute.

Ecco perché non sarò certo io a rimpiangere i bei tempi andati, oggi che è mia figlia ad andare a scuola.
Ecco perché non sopporto più questi tromboni che sentenziano che i compiti non hanno mai ucciso nessuno, che ai loro tempi le prendevano prima a scuola e poi a casa gli davano il resto. Ma vaffanculo.

Ma un rammarico ce l’ho, è il futuro che non c’è stato.
È il nulla che si è sostituito al decadere di quella scuola incontestabile.

Vedo bambini tutti i giorni, sembrano felici.
Ma non riesco a togliermi dalla testa quell’aria che hanno, quella di fare ciò che tutti fanno, farlo come tutti lo fanno. E vedo imparare a scrivere leggere e contare, una gran soddisfazione, soprattutto se lo fai un pochino meglio degli altri.

Quel che vedo è la costruzione laboriosa, capillare, intensiva, di un sistema di dogmi.
A contenerli una cornice di ferro che, pioggia o neve, sole o vento, fiori o rami, è un rigido calendario settimanale.
Sembra un po’ che qualcuno gli abbia detto che sapere è sapere cose. Che tutto è misurabile e davanti a nulla si resta a bocca aperta.

Vedo che crescere è stracrescere. Vedo potenziamenti di inglese, corsi di scacchi, di cinese, di solfeggio, tutto molto intensivo in nome di un impegno che è disimpegno.
Perché l’impegno della scelta non attecchisce in menti sempre concentrate su qualcosa.

Mi chiedo se quello che non è riuscito a fare Hitler non lo stiamo facendo noi... E non mi riferisco alla campagna di Russia.

Ecco, io vorrei campionati di distrazione, elogi degli errori e allegri roghi per questi libri scolastici scritti dal marketing editoriale. Vorrei lezioni di noia, di stare in coda alla posta.
Insopportabilmente naif e fricchettone, è vero, ma a guardar bene di solito i fricchettoni hanno figli piuttosto concreti che parlano di soldi, che gli occhi li tengono sul banco, con un elenco di impegni troppo fitto per stare in coda alla posta e che non cambieranno il mondo.

Bene figlia, lascia perdere, guarda fuori della finestra, è tutto lì raccolto nel pulviscolo sospeso tra te e il mondo. Trova quel pulviscolo trasparente.
Trova un giorno un vero maestro, non un professore, un maestro grande dico, non qualcuno che ti istruisca o ti guidi. Solo qualcuno o qualcosa che ti faccia tornare la curiosità che intanto ti avranno tolto.



Nessun commento:

Posta un commento